crocifissoÈ specifico del cristianesimo il ridirsi costantemente all’interno dei differenti contesti culturali, i quali vivono il dinamismo della ricerca e del cambiamento. Anzi, sarebbe in contrasto con la sua identità pensare il contrario. L’importanza e l’insostituibilità del dinamismo dell’evangelizzazione è, quindi, il tratto caratteristico della missione della chiesa, la quale è chiamata a una costante e nuova scrittura della storia che, in relazione all’evento che l’ha instaurata, Gesù Cristo, produce delle differenze promotrici di cultura. È nell’orizzonte di tale relazione che si configura uno stile interculturale segnato dal dialogo e dalla condivisione di un annuncio interessante. Ciò nonostante, appartiene alle acquisizioni della riflessione teologica e pastorale, il fatto che l’annuncio della novità cristiana vive una paradossale tensione: da un lato, il Vangelo si caratterizza per un’interessante capacità di provocare l’uomo e le sue visioni del mondo e della vita; dall’altro, sperimenta un certo disincanto nei confronti di stili di vita, modelli di pensiero, criteri etici che urtano contro orizzonti che rivendicano autonomia progettuale e libertà decisionale. Sta qui la faticosa elaborazione di una relazione tra il progetto del Regno e il desiderio dell’uomo di costruire un mondo più abitabile e conviviale. Questo, in ragione del fatto che un processo di evangelizzazione senza un’adeguata lettura dei segni dei tempi, rischierebbe di essere irrilevante e poco credibile. Entro queste premesse, si comprende la tensione creativa che anima l’idea di evangelizzazione della cultura, dalla cui progettualità può dipendere la capacità di futuro del cristianesimo stesso. La questione che si profila è, dunque, relativa alla modalità di traduzione del significato di evangelizzazione, della sua legittimità in rapporto alle ipotesi che ogni cultura e religione contengano le risposte alle inquietudini della condizione umana. Il motivo sta nella complessità dei nuovi areopaghi, come osserva Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, espressione e indice del mutamento culturale della contemporaneità. O, come si legge nei Lineamenta del Sinodo dei Vescovi su La nuova evangelizzazione. Per la trasmissione della fede cristiana, di particolari scenari nuovi che interpellano la qualità dell’annuncio. «Qui trova il suo specifico e la sua forza lo strumento della nuova evangelizzazione: occorre guardare a questi scenari, a questi fenomeni sapendo superare il livello emotivo del giudizio difensivo e di paura, per cogliere in modo oggettivo i segni del nuovo insieme alle sfide e alle fragilità. “Nuova evangelizzazione” vuol dire, quindi, operare nelle nostre Chiese locali per costruire percorsi di lettura dei fenomeni sopra indicati che permetta di tradurre la speranza del Vangelo in termini praticabili»

UN’ATMOSFERA CULTURALE IN EVOLUZIONE
Porsi nell’ottica di una nuova evangelizzazione significa, allora, prendere atto di cosa significhi oggi essere cristiani, soprattutto nella casa europea dove la coabitazione non sembra più garantita dall’importanza della tradizione. Il rapporto tra cristianesimo e cultura europea è noto, soprattutto nella versione dell’origine della modernità. Sebbene segnato da contrasti interpretativi, è pretestuoso negare il contributo del messaggio cristiano allo sviluppo di una società e cultura che ha scommesso sulla progressiva liberazione della condizione umana nel segno di un’autonomia responsabile. Nondimeno, la cultura contemporanea ha elaborato una visione etica del mondo basata su un concetto di laicità, da intendersi come sinonimo di autonomia, il cui unico criterio guida è la razionalità/ragionevolezza. Tuttavia, si percepisce un’atmosfera culturale alle prese con forme di degenerazione e decadenza rispetto al programma di un’umanizzazione del mondo. Un tale scenario sembra riferirsi alla fragilità di percorsi costruttivi, che sembrano escludere il contributo di quanti hanno a cuore la qualità dell’esistenza. In sostanza, se da un versante l’interpretazione del mondo e della vita è data senza ricorrere all’ipotesi Dio a vantaggio di letture scientifiche e tecniche, dall’altro la mancanza di Dio non pare creare disagio, né costituire un problema, quasi a conferma di quel fenomeno di indifferenza religiosa e post-atea, la cui stranezza, però, sta nella reintroduzione del bisogno religioso. Tuttavia, sarebbe miope non cogliere nella nostalgia di un senso autentico e nella ricerca di valori più umanizzanti, un appello a un’esigenza di cambiamento cui i processi di evangelizzazione nuova possono attivare.

PLURALISMO E INTERPRETAZIONE DELLA SOCIETÀ
Per comprendere più da vicino il significato dei nuovi scenari dell’evangelizzazione, è necessario interpretare il contesto della globalizzazione contemporanea, caratterizzato dal pluralismo come principio interpretativo della cultura e della società. Questo significa che è improponibile oggi riflettere teologicamente e pastoralmente senza percepire le istanze del pluralismo e coglierne alcune traiettorie che incidono sulla potenzialità dell’annuncio del Vangelo. Non solo sta modificando le strutture di plausibilità della cultura, mostrando il volto di una relatività necessaria, non disgiunta, però, da un relativismo strisciante. Sta anche operando una trasformazione nelle strutture di credibilità relative al ruolo e verità dell’esperienza religiosa nell’ambito dell’esistenza. Ciò che si legge per il singolare pluralismo degli italiani, sembra valere per una gran parte dell’Europa. «Pluralità di offerta, dunque, pluralità di modalità di accesso, ma anche pluralità e reversibilità dei percorsi soggettivi che, tutti insieme, delineano una fase storica di progressiva soggettivizzazione del rapporto con la religione e di pluralizzazione dei modelli a disposizione». S’inscrive nella complessità di tali problematiche, la riflessione sulla possibilità di una correlazione critica tra Vangelo e cultura, a partire dal valore simbolico della pluralità delle culture. Il pluralismo funge da comune denominatore e da prospettiva di lettura in grado di verificare la fecondità dei processi di evangelizzazione e la loro competenza in rapporto alle domande di liberazione-salvezza dell’uomo e delle società. Ne consegue la necessità di sostare nelle aree teoretiche della proposta pluralista nei suoi diversi contenuti, così come opportuno appare il compito di provare ad individuare alcune linee teologico-pastorali che sappiano dialogare con gli orizzonti della pluralità.

VIE PER UNA EVANGELIZZAZIONE CREDIBILE
È all’interno dell’atmosfera plurale e multiculturale, che vanno letti i nuovi areopaghi dell’evangelizzazione in Europa. È in gioco, in altri termini, la capacità del cristianesimo di «saper leggere e decifrare i nuovi scenari che in questi ultimi decenni sono venuti creandosi dentro la storia degli uomini, per abitarli e trasformarli in luoghi di testimonianza e di annuncio del Vangelo».

a) La questione della secolarizzazione. Non è semplice individuare la linea di confine tra le due posizioni interpretative circa il valore della religione per la vita. La querelle è nota, sia dal punto di vista teoretico, sia dal versante pratico. Si tratta, cioè, di quel processo di allontanamento della religione dall’organizzazione socio-culturale dell’esistenza, in base al quale l’uomo sperimenta un’autonomia etica nel progettare la sua identità. La conseguenza doveva essere nella progressiva espulsione della religione, ritenuta ingombrante nei circuiti del sociale. Tale posizione, attribuibile al secolarismo, è interprete di un mondo finalmente libero da ipoteche religiose del passato, in grado di avviarsi ad un progresso effettivo. La realtà, però, si è rivelata ben diversa. Non solo la religione non è affatto scomparsa dal contesto culturale contemporaneo, ma la stessa cultura sta sperimentando il bisogno di un riequilibrio del sistema che, nel connettere le esperienze vitali, non riesce più a fare a meno dell’indicatore-religione, meno marginale di quanto ipotizzato. L’esito è sotto gli occhi di tutti, a tal punto che si parla di una società post-secolare e di un processo di de-secolarizzazione che indica un percorso di riscoperta delle credenze e pratiche religiose, anche se distorte e contaminate. Va precisato, però, che la lettura sociologica del secolarismo, non riesce a giustificare il ritorno del religioso, anche se segnato da un dinamismo di privatizzazione, un believing without belonging che non configura necessariamente la religione quale affare privato. Ne è prova la moltiplicazione di forme e tipologie religiose che si esprimono nello spazio pubblico della spiritualità contemporanea. La questione che si profila è, dunque, quella della calibratura della parabola della religione nel contesto socio-culturale e della sua portata teoretica ed etica circa la capacità di riattivare energie decisive per la qualità dell’esistenza. Al tempo stesso, però, emerge l’esigenza di rimettere a tema il significato teologico della secolarizzazione, quale possibile criterio ermeneutico per individuare plessi di significato del cristianesimo lasciati in ombra o non adeguatamente indagati. In tale prospettiva, può essere utile una puntualizzazione che ci consegna la riflessione teologica dopo il Concilio Vaticano II: una particolare teologia del mondo nella sua globalità, un mondo che mostra d’essere adulto, capace di realizzare progetti di liberazione dell’uomo, senza necessariamente ricorrere all’ipotesi Dio (o, almeno, ad una certa immagine di Dio). La teologia assume, in tale ambito, il processo di secolarizzazione come dimensione propria del messaggio cristiano, sulla scorta della novità dell’incarnazione. Tale processo non nega l’esperienza religiosa, ma la situa tra l’uomo e Dio, responsabilizzando quest’ultimo nei riguardi della costruzione di una cultura capace di realizzare i valori della libertà, della tolleranza, della dignità di ogni persona. La stessa rilettura dell’escatologia si muove entro tale prospettiva: la storia è aperta al suo futuro, cristianamente simboleggiato nel regno di Dio; un futuro che si esprime nella promessa di una liberazione e salvezza già presente nell’evento pasquale. La riflessione teologica e pastorale evidenzieranno con insistenza la necessità di ripartire dagli ultimi, dagli oppressi, da coloro che non hanno voce. In sostanza, da una visione etica che pone in risalto la centralità dell’altro, soprattutto se marginale ai processi di elaborazione politici ed economici.

b) Nuovi ateismi. Nondimeno, lo scenario della cultura europea (e non solo) post-moderna è abitato da un nuovo ateismo, che si presenta con movenze più attente alla fragilità degli uomini e donne, e portatore di un modo di vita meno appesantito da norme e principi. Una serie di pubblicità apparse in diverse città europee, ha dato voce ad una proposta ironica e provocatoria: «Probabilmente non esiste alcun Dio. Smettila di preoccuparti e goditi la vita». Evidentemente, dietro slogans di facile consumo, si intravede una traiettoria più complessa e articolata, che parte dalla profezia del filosofo F. Nietzsche sulla ‘morte di Dio’ e sulla sua inutilità per il vivere dell’uomo contemporaneo. Ebbene, la conseguenza di una tale ipotesi, sembrava dovesse realizzarsi nel progressivo inaridirsi del desiderio religioso, come un addio alla ricerca di un senso custodito nel nome di Dio. Di fatto, l’ineliminabile bisogno di credere che resiste, attesta che l’interrogativo di Dio non è poi così indifferente alla ricerca umana. Ma come si articola, allora, la questione di Dio come possibilità da riscoprire e rivalutare? Partiamo da una costatazione. Il paradigma contemporaneo suggerisce (o impone) un cambiamento radicale nei modi di comprendere Dio e il suo rapporto con il mondo. L’avanzare di una conoscenza scientifica sempre più avvertita, e l’emancipazione della ragione filosofica hanno evidenziato l’autonomia della realtà, la quale ha leggi proprie, che funzionano da sé. Ha ancora senso riferirsi all’”ipotesi Dio” (Laplace) quando si parla di fenomeni che accadono nel mondo? Non si rischia di far diventare Dio una necessità, una spiegazione che leghi il suo nome alla lista delle ipotesi che, al primo errore interpretativo, cade inevitabilmente nel registro del non-senso? Non dobbiamo meravigliarci, quindi, se la ricerca scientifica pone una questione di metodo circa il sapere dell’uomo, inteso come attendibile e riproducibile sul mondo in cui viviamo. Di fronte a ciò, l’affermazione di Dio sembra far fatica a giustificarsi, soprattutto se non risponde a certi criteri. Essa rimane come lo sfondo di un bisogno dell’uomo; anzi, un vantaggio competitivo per la specie umana nel lungo cammino della sua crescita e identità. Attraverso una combinazione di immaginazione e desiderio, Dio ha preso il posto dell’ignoto, dell’innominabile, cifra di una conoscenza parziale e non adeguata. Insomma, ha supplito ad un deficit scientifico. Eppure, emerge come il bisogno di Dio e del suo nome persistono, a tal punto che se la cultura post-moderna ha modificato l’immaginario di Dio e criticato alcune sue caratteristiche, al tempo stesso resta sensibile e disponibile ad un’eventuale nuova ricerca di Dio. La domanda dov’è Dio?, non è scomparsa affatto, ma si mostra con un’attenzione alla relazione che l’esistenza dell’uomo, la natura e la storia hanno o possono avere con Dio. Tale interrogativo, però, sa di dover fare i conti con lo scacco e l’inadeguatezza, a motivo del fatto che Dio non coincide quasi mai con le nostre idee e rappresentazioni. Le assume, perché possano essere rielaborate in una continua riflessione che nasce dall’esperienza dell’incontro con Lui. Lo stesso linguaggio religioso formula metafore e simboli che configurano il desiderio di Dio come vitale per l’uomo. Tuttavia, ciò che emerge dalla fatica di tale ricerca e spesso dall’insuccesso delle risposte, è che Dio rimane una domanda aperta al nostro pensare e vivere, che sorge nel mezzo della vita che aspira alla fioritura del bene e della libertà. L’ipotesi, dunque, è nel collocarsi sull’interrogativo chi è Dio?, nella consapevolezza che da tale angolatura, la ricerca può intravedere un itinerario particolare: quello che conduce alla scoperta del luogo originario del dirsi e mostrarsi di Dio. Nel cristianesimo, tale luogo è l’evento Gesù di Nazaret, quale punto di partenza per un percorso che va da Dio al divino, piuttosto che dal divino a Dio.

c) La legge del mercato. Nonostante i proclami della centralità e maturità del soggetto, si assiste ad una strana involuzione della sua identità. Non è del tutto lontano dal vero, affermare che i dinamismi di omologazione culturale, stanno modificando i ruoli sociali e i modelli di riferimento. Sempre più si impone il pensiero dominante del mercato, quale luogo di costruzione dei bisogni, che alimenta il mito della crescita infinita, insistendo sulla competitività ed efficienza ad ogni costo. Ne vien fuori un’antropologia del consumatore globale che vive l’ebbrezza di una libertà incondizionata, spinto all’acquisizione e al consumo della vita, oltre che di beni, nel senso che il segreto sta nel costruire un rapporto con gli altri e nel mondo quali fonti utili ad alimentare la possibilità di esperienze e il gusto del possesso. Nella spirale del desiderio, si vuole eliminare ogni limite, tranne quello del consumo, e il mercato lavora per selezionare e confermare la bontà del consumare, perché in esso si dà l’illusione di poter controllare il gioco e di aver sempre chance di modificare la propria identità. L’effetto è sotto gli occhi: ad un impulso costante a spendere, si affianca una imprevista discriminazione sociale e culturale, per coloro che non riescono a inserirsi in tali ingranaggi. La stessa gestione economia non riesce a far fronte all’esplosione della finanza speculativa, con un aggravarsi del debito, che non riesce più ad essere aggirato tramite l’incentivazione alla spesa come motore di ricchezza. Ma, cosa più grave, si è innescato un sottile dinamismo di rilettura dei diritti umani, sul cui sfondo si agitano i diritti del possessore. La trasformazione in atto è evidente, soprattutto nell’avanzamento di paradossi drammatici: una più ampia discriminazione sociale; un saccheggio capitalistico dell’ambiente; indicatori crescenti di malessere come depressione, criminalità, obesità, violenza xenofoba; aumento del Pil pro capite e crescita dell’indebitamento delle famiglie, di fronte alla difficoltà di poter pagare i beni pubblici (come istruzione e sanità). Da questa angolatura, la responsabilità culturale del cristianesimo può condurre ad una riflessione più articolata sul rapporto economia ed etica, partendo sicuramente da un nuovo modello antropologico. Per debellare la vulgata dell’individualismo globalizzato, è necessario assumere una cultura della reciprocità e gratuità, nell’interesse di un progetto di sviluppo integrale dell’uomo, in grado di coniugare felicità e promozione del ben-vivere Il suggerimento che proviene dallo stile di vita evangelico, muove sul versante del capitale umano e delle sue risorse, quali regole dinamiche virtuose nella prospettiva di un’economia di comunione sociale. In fondo, è l’architettura della dottrina sociale della Chiesa, il cui disegno assume il primato della fraternità come spazio umano, principio regolativo della libertà e uguaglianza. Qui il cristiano è compagno di viaggio di ogni uomo e donna che lottano per una società armoniosa, soprattutto nella critica a ciò che strutturalmente impoverisce la vita e le sue aspirazioni. Si tratta, allora, di innestare, nel processo di un’esistenza dignitosa nel rispetto del pianeta, quote di gratuità che aiutino ad una cultura dove la crescita deve avere altri indicatori, tra cui la sostenibilità, l’equità e la sussidiarietà. Si registra, in altre parole, la necessità che tali indicatori mirino al progetto del bene comune, in cui la struttura di reciprocità può vigilare perché accumulo e sfruttamento non impongano la loro legge mercatoria.

d) L’ideologia della tecnica. Nella logica del consumo della vita, va collocata l’ideologia della tecnica che capovolge l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della realtà. Essa cambia lo sguardo relativo al mondo, perché dichiara ipotetico l’ordine della natura, dissolvendo, al tempo stesso, un presupposto: quello dell’uomo controllore del potere tecnologico. Nella società digitale, l’effetto è che l’ideale del controllo della propria autonomia e della libertà quale possibilità di scelta, non è per nulla scontato. Anzi, spesso si sperimenta il rischio di una dipendenza dal mondo tecnologico, a tal punto da condizionare il tempo, le relazioni, gli stili comunicativi. Il fascino dei mezzi di comunicazione mediatica è quello di sentirsi sempre in rete, in una perenne connessione, che fa percepire l’ebbrezza del proprio essere sempre e comunque a disposizione e di poter raccontare noi stessi. Senza cedere ad una visione negativa, l’eccesso tecnologico sta incidendo sul modo di pensare, di organizzare la vita, soprattutto perché assicura una maggiore fruibilità delle cose e un potere di trasformare e inventare la realtà. Vivere nel virtuale, secondo il modello che la cultura del Web propone, conduce progressivamente a non rendersi che la realtà è fatta di incontri, volti, sorprese, fallimenti che non riescono ad essere compresi attraverso una razionalità strumentale e nella logica del calcolo. Non è un caso che la navigazione in rete può rivelarsi espressione di solitudine, paura della propria identità, incapacità del confronto e del dialogo. Dinanzi ad un’importante potenziale di miglioramento delle condizioni di vita, è opportuno investire in una formazione che leghi la tecnica alla crescita del soggetto, la cui centralità va ben al di là della strumentazione in suo possesso. La consapevolezza di essere parte, per quanto importante, di un sistema più ampio, è alla base di una differente etica, che ha come obiettivo una migliore convivenza.

e) Dialogo interculturale e interreligioso. L’attuale configurazione multiculturale europea esige un cambio di marcia nell’incontro tra culture. Situazione, questa, delicata, perché esige la cifra etica del riconoscimento e dei diritti fondamentali, come strumento di una governance attenta alla complessità dell’attuale cultura cosmopolita. Sulla scia di tali indicazioni, la scelta appare più che obbligata. I fenomeni migratori mettono a dura prova il confronto tra culture differenti, che non vanno discriminate, ma poste in relazione sul principio della dignità di ogni essere umano. Evitare eccessi di culture, vuol dire impegnarsi per individuare ciò che accomuna, al di là delle diversità, e puntare a percorsi educativi di interculturalità. Si tratta, come si può intuire, di un processo da attivare, che abbia il coraggio di uscire da schemi interpretativi standardizzati o dalla buona volontà di un incontro che lasci le cose al loro posto. L’interculturalità va compresa come un movimento di reinterpretazione delle culture, che provoca un’esperienza conoscitiva nuova, dai risultati non predeterminabili. Secondo tale prospettiva, l’etica interculturale si muove su relazioni di scambio e di reciprocità feconda, la cui circolarità interpretativa è fattore di ampliamento delle prospettive, di crescita delle valutazioni, di affinamento nella percezione delle problematiche. Il dialogo interculturale non lascia inalterato il soggetto, ma lo invita ad un decentramento del proprio orizzonte, spronandolo ad non accontentarsi di letture socio-culturali superficiali e a senso unico. Non deve meravigliare, pertanto, che l’interculturalità è sia accoglienza dell’alterità, sia conflitto nella comprensione, giacché porta in direzione di un incremento antropologico e verso la costruzione di una nuova convivenza civile. Spesso, sono i pregiudizi o abitudini ad una relazione solo funzionale, a bloccare il confronto tra gli interlocutori, nella convinzione che dedicare tempo e ascolto all’altro sia una scelta che non porti molto lontano in un cambiamento reale. Viceversa, il dialogo interculturale è un movimento di reciprocità che spinge al mutamento dell’esistente, verso una progettualità culturale che abbia come obiettivo un ethos comune. Se non si ha il desiderio di modificare ciò che impedisce l’edificazione di una società più giusta e solidale, l’incontro intercultuale è di fatto irrealizzabile. Appare evidente che la riuscita o meno di un processo d’interculturalità, dipende anche dalla capacità delle religioni di vivere l’esercizio del dialogo. Anzi, di assumerlo come sfida etica, in ragione della responsabilità storico-culturale che hanno nella costruzione della vita. Stabilire a livello interreligioso ed ecumenico uno stile dialogico, vuol dire creare le condizioni minime perché vi sia una propulsione all’arricchimento reciproco, allo scambio senza ipocrisie, al desiderio di incamminarsi verso un reale cambiamento. Allora, non spaventerà il dover muoversi per primi, il saper dare fiducia agli interlocutori, il perdere tempo e dare tempo all’altro e alle sue ragioni. Il cammino dialogico verso la verità è un lungo percorso tra coloro che sono coscienti che nessuna dottrina è conchiusa e che si nutre di quelle anticipazioni che illuminano il senso della ricerca. La verità, infatti, ha un carattere liberante e non violento o impositivo, generativo di un’identità comunicativa capace di vivere la carità dell’interpretazione, in cui ognuno aiuta l’altro a capirsi meglio nella compartecipazione al processo di liberazione e salvezza dell’umanità. Sulla scia di tali requisiti, il contributo del cristianesimo si profila come servizio culturale all’uomo, ponendo la giusta attenzione alla questione dei valori e dei diritti-doveri fondamentali nella loro realizzazione in contesti diversi. La virtuale universalità trasversale del cristianesimo si traduce nel compito di andare alle radici dei molti processi culturali, e in particolare sulla costruzione di un’umanità differente che sappia puntare sulla dignità e sul rispetto dei diritti, soprattutto di quanti sono esclusi ed emarginati per politiche imperialistiche. È proprio del messaggio cristiano essere una religione che cerca libertà e giustizia per tutti, attraverso percorsi del riconoscimento degli altri nel loro essere altri. Su questa linea, il processo di evangelizzazione si muove sul terreno dell’interculturalità che, mentre afferma la potenziale universalità delle culture e delle religioni, le invita ad un’apertura reciproca, in una tensione feconda che attribuisce valore alla verità, alla solidarietà e all’amore. Al tempo stesso, il cristianesimo come interlocutore verso altre culture e religioni, inaugura uno spazio inedito di ospitalità: quello della laicità e della legittimazione di altre esperienze religiose, chiamate ad esprimere la loro identità etica.

f) Domanda di spiritualità. Nella esigenza di un mondo diverso, va letta la domanda crescente di una spiritualità che traduca le esigenze di un’autentica umanizzazione. Per quanto possa sembrare strano, la ricerca religiosa non si è allontanata dalla vita, ma riemerge con la sua proposta di accresciuta sensibilità alla ricerca umana. Molto è stato detto sulla particolare forma che tale domanda assume, sulla sua capacità o meno di interpretare quella nostalgia di assoluto e di salvezza che promana dal bisogno di ricarica dell’energie dell’io. Senza dubbio, la spiritualità contemporanea non risponde più a determinati cliché, ma appare segnata da dimensioni più fluide. Cresce, ad esempio, la passione per i pellegrinaggi, aumenta lo spazio del silenzio e della meditazione, si riscopre l’emozione della religiosità popolare. Sta di fatto che l’emergenza di una tale esigenza è espressione e figura della nostra interiorità bisognosa di un itinerario di trans-figurazione dell’identità umana a livello personale e sociale. In questo quadro, l’esperienza religiosa sta riscoprendo la portata storica della sua proposta per una vita migliore, riattivando quei sentieri del sacro dal volto plurale. In tale scenario, l’evangelizzazione deve vivere con empatia la riaffermazione della domanda di spiritualità, facendo i conti con la tentazione di relegare in un’interiorità protetta tale esperienza che, invece, non può non legarsi alla ferialità e laicità dell’esistenza. In particolare, il cristianesimo offre una diversa configurazione dell’esperienza religiosa: non la distacca in un’oasi di incontaminata tranquillità, ma la innesta nel quotidiano, là dove ogni uomo e donna lotta per obiettivi di qualità. Ciò non significa negare la richiesta di un benessere interiore, bensì situarla nella responsabilità di costruire una società dal volto umano. Nell’assumere lo stile di Gesù Cristo, le comunità ecclesiali saranno in grado di proporre un paradigma avvincente: quello di una spiritualità profetica, in cui la disumanità sia contrastata dalla gratuità e solidarietà, in una storia di libertà e giustizia.

BREVE CONCLUSIONE
Non c’è dubbio che in una situazione di cambiamento epocale la qualità della nuova evangelizzazione è determinante, perché la proposta cristiana possa ancora essere rilevante e affidabile. L’ascolto e l’accoglienza dei percorsi culturali che tratteggiano i nuovi scenari europei, richiedono la capacità di assumere le domande dell’esistenza e correlarle alla novità evangelica. L’annuncio del Vangelo, però, porta con sé un’ineliminabile tensione profetica che impegna le Chiese locali nella formulazione di una cultura nuova, attenta alla crescita e maturazione dell’umano. Solo in questo modo potrà condurre alla riscoperta della sequela di Gesù Cristo quale via di accesso alla verità di Dio e dell’uomo, che esprime la ricchezza e singolarità di un progetto di vita che guarda alla felicità e alla convivialità. Tale compito esige la capacità di saper porre domande adeguate, articolare proposte educative, impegnarsi alla formazione di comunità cristiane adulte. In una parola, a reiniziare alla fede come spazio di un’identità nuova che fa della scelta di essere cristiani un’avventura coinvolgente.

Carmelo Dotolo