da espressonapoletano.it – Quante volte avremo letto sui libri di scuola che la Napoli cristiana è figlia di quella pagana? Quante, le volte in cui ci siamo meravigliati di come le chiese e gli edifici del centro storico, che frequentiamo ogni giorno, siano in gran parte sorti dalle rovine di preesistenze romane? Quello che pare un avvicendarsi naturale, tra romani e pagani e napoletani e cristiani, fu in realtà un processo nient’affatto scontato ed assai più lento. Nel calderone di esperienze religiose della Napoli tra l’età gentile e quella ‘definitivamente’ cristiana, molti furono i riti ed i culti, e la vittoria del cristianesimo fu tutt’altro che lineare.
E proprio a Napoli, dallo scorso dicembre, è aperta al pubblico la mostra Sacra Neapolis, che porta in esposizione una scelta di reperti archeologici del MANN, a testimonianza di quel coacervo religioso complesso e dinamico alla base del passaggio all’epoca cristiana, le radici della quale si sostanziano proprio qui. Mitraismo, culti misterici, paganesimo, piccoli culti privati e religioni ‘ufficiali’: tutto è miscelato in dosi di superstizione, fede, utilitaristico do ut des, speranza di salvezza dell’anima e puro omaggio formale. La sede anzitutto: la chiesa di Santa Maria Maggiore, già basilica Pomponiana della tarda età romana, collocata nel viadotto delle condutture greco-romane, è il più adatto contenitore in grado di ospitare il contenuto.
Tra i reperti spiccano una Nike proveniente dall’attuale Borgo Orefici così come una Iside (con sostanziali parti di restauro) in grado di esemplificare sia i culti delle divinità minori e squisitamente greche sia quelle invece maggiori (non più ‘deità’ ma dee) ed orientali, specificamente egiziane. Ovvio il richiamo della pannellistica alla scultura del fiume Nilo, che invece campeggia nell’omonima piazzetta, a significare il più antico ingresso delle fedi dell’est a Napoli. Splendida la stele rappresentante il dio Mitra, con dedica incisa in basso. Proprio questo culto, minormente conosciuto, fu il più simile a quello cristiano ed il suo più agguerrito rivale. A pochi passi dalla mostra, infatti, basta sporgersi alle spalle del Duomo per guardare i resti del Mitreo romano emerso dallo smantellamento di uno stabile bombardato nell’ultima guerra.
Poter osservare con calma i pezzi esposti, coglierne il rapporto territoriale e quello ancor più stretto con la sede ospitante significa trarre il giusto bagaglio esperienziale e conoscitivo, piuttosto che perdersi tra i ‘grandi magazzini’ delle mostre ciclopiche. Significa – soprattutto per il pubblico non specialista – scoprire che la religiosità napoletana voleva dire greca, egiziana, siriana, italica etc, senza che vi fossero frizioni teologiche ma che, anzi, spesso culti vicini finivano per influenzarsi reciprocamente sia sul piano di fede che su quello figurativo. Scopo secondario della mostra è quello di relazionarsi alle vicende geologiche, naturalistiche e fisiche di Napoli, come risultanti delle varie pratiche religiose antiche, di cui la S. Maria Maggiore è ancora una volta esemplare museo e viva permanenza storica fino al secondo dopoguerra.
Culti e misteri antichi infatti erano celebrati per lo più nel sottosuolo, lì dove sono esposti i reperti fiancheggiati dagli stessi banchi tufacei escavati nei secoli per estrarre la pietra gialla, oppure da ampie sporgenze di mura ellenistiche, ancora perfettamente visibili nella loro messa in posa, con uno straordinario (e un po’ nascosto) protendersi di un lacerto di mosaico romano, che dà l’idea della stratigrafia delle varie epoche e della persistenza in loco, però, della pratica religiosa. Risalto è dato anche ai luoghi di culto delle vicinanze, come il sito di Sant’Aniello a Caponapoli, da cui proviene un vero e proprio ‘deposito votivo’, o quello dell’attuale Piazza Nicola Amore, un tempo complesso dei Giochi Isolimpici, con un tempio eretto al ‘più giovane’ degli dèi romani: l’imperatore.
Panelli e testi critici sono essenziali e congetturati in modo da significare una continuità pressoché immediata con i siti del territorio, sui quali continuare idealmente il percorso archeologico. Un motto ideale accompagna il visitatore nel distinguere i culti: l’attributo di Omnipotens inciso sulla detta stele del Dio mitra. Si passa dunque tra culti politeisti fatti di divinità minori e maggiori, e ‘specializzate’ (perfino Giove era definito “ottimo e massimo” ma mai onnipotente), ad un primo dio monoteista per l’appunto onnipotente e che promette la vita eterna. Dunque, se Napoli fu fatta cristiana alla fine, forse è stato merito della tenacia dei nuovi uomini di fede baciata dalla fortuna e rassodata nelle pieghe della Storia. Oppure è stata la Provvidenza.