galileoNELLA DISPUTA TRA IL GRANDE SCIENZIATO E LA CHIESA CATTOLICA ROMANA HANNO VINTO DIO E LA PERFEZIONE DEL COSMO

Il 15 febbraio del 1564, esattamente 450 anni fa, nasceva a Pisa Galileo Galilei, forse il più grande degli italiani insieme a Leonardo da Vinci. Il padre-martire della scienza modera è stato fisico, filosofo, astronomo e matematico. Ha perfezionato il telescopio e introdotto il metodo scientifico (detto spesso metodo galileiano o metodo scientifico sperimentale). Sospettato di eresia dal Papa e dalla Chiesa Romana, accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, fu processato e condannato dal Sant’Uffizio, nonché costretto, il 22 giugno 1633, all’abiura delle sue concezioni astronomiche e al confino nella propria villa di Arcetri.
Il caso Galileo all’interno della cultura cattolica ha costituito e costituisce tuttora un fattore di imbarazzo e di divisione, essendo la vicenda galileiana sentita comunemente come una colpa e considerata come una macchia nella storia della Chiesa. E certamente ha anche alimentato quel dissenso che, in epoca moderna, si è rivestito di valenze scientifiche e ha individuato nel progresso la via per superare l’immobilismo dottrinale. Da ultimo, ma non per l’importanza che la questione riveste, l’immagine di Galileo martire della scienza ha condizionato negativamente il rapporto degli uomini di scienza con la religione in generale e con la fede cattolica in particolare. Dopo la Riforma Protestante di Lutero del 1517 e l’avvio della controriforma cattolica del Concilio di Trento (che consentirà alla Chiesa di ritrovare l’unità dottrinale attraverso la riaffermazione e la riproposizione vigorosa dei valori propri del cattolicesimo romano), la vicenda di Galileo scoppiò come una bomba negli ambienti cattolici e solo 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992, papa Giovanni Paolo II, alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle scienze, dichiarava riconosciuti “gli errori commessi” sancendo la conclusione dei lavori di un’apposita commissione di studio da lui istituita nel 1981. La vexata qaestio verteva sulla teoria dei Massimi Sistemi, tema che domina tutto il caso Galileo e riguarda l’antagonismo fra due opposte cosmologie, fra due modi irriducibili di descrivere l’Universo: da un lato il sistema geocentrico o tolemaico, con la Terra in posizione centrale e immobile, e la Luna, il Sole, i pianeti e le stelle rotanti attorno ad essa; dall’altro il sistema eliocentrico o copernicano, con il Sole in posizione centrale e gli altri corpi celesti, Terra compresa, rotanti attorno al Sole. Il sistema tolemaico entrò nel vasto sistema di valori della cultura cristiana, in omaggio a quel carattere unitario della cultura con la religione che era un retaggio della scolastica medioevale. Tale carattere unitario includeva la convinzione che la conoscenza della struttura del mondo fisico fosse imposta dal senso letterale della Sacra Scrittura. Nella fattispecie si legge più volte della mobilità del Sole (sorge, tramonta, che intorno alla Terra immobile) e, più precisamente in Giosuè 10-13 si legge:  “Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici. Non è forse scritto nel libro del Giusto: Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero”? Contro Galileo ebbe il sopravvento la preoccupazione della Chiesa e soprattutto degli organismi preposti alla difesa dell’ortodossia dottrinale di far fronte alla crisi protestante, allora in pieno svolgimento. Ma anche un’eccessiva preoccupazione di tipo giuridico e un’incapacità di affrontare l’esegesi biblica su presupposti più aperti da parte di uomini di Chiesa. Da ultimo, il carattere dello stesso Galileo, incline alla polemica, incurante delle inimicizie, teso all’umiliazione del contraddittore piuttosto che alla disamina leale delle idee contribuì. Fu così che nel marzo del 1615 il domenicano Tommaso Caccini, che già dal pulpito di Santa Maria Novella, in Firenze, aveva tuonato contro i copernicani, rilasciava una deposizione al Sant’Uffizio, specificando che Galileo sosteneva il moto della Terra. Di qui aveva inizio il primo procedimento a carico dello scienziato. Il 15 giugno Galileo scrisse la famosa lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa Madre, in cui rivendicava l’autonomia della ricerca scientifica nel quadro teologico-morale fornito dalla Sacra Scrittura. Tuttavia non riuscì ad impedire che le tesi circa la stabilità del Sole e il moto della terra fossero censurate: il 24 febbraio 1616 una commissione di undici teologi aveva già reso operativa la dichiarazione di censura con la conseguente ammonizione di Galileo e la messa all’Indice del libro di Copernico, “donec corrigatur”, ossia fino a quando la situazione non si fosse chiarita. L’ammonizione non cambiò la vita di Galileo che continuò a godere della stima del Papa e di moltissimi cardinali. Lo stesso Roberto Bellarmino, sollecitato dal Pisano, scrisse una dichiarazione a tutela del suo onore, minacciato dai numerosi calunniatori che auspicavano provvedimenti più gravi. Nel 1623 salì al soglio pontificio, con il nome di Urbano VIII, Maffeo Barberini, molto favorevole a Galileo, il quale si affrettò a dedicargli “Il Saggiatore”, l’opera con cui intendeva confutare il gesuita Orazio Grassi nella disputa sulle comete: un’opera di notevole pregio letterario, ma al servizio di una causa errata, quale quella delle comete come fenomeno ottico di origine terrestre. Dopo diversi tentativi di fare togliere l’ammonizione e dopo avere respinto qualunque offerta di riconciliazione con il gesuita, Galileo si dedicò completamente alla ricerca della prova conclusiva a sostegno del sistema copernicano. Lavorando intorno alla questione delle maree, credette di avere trovato in esse la prova che cercava. Nel 1630 aveva terminato l’opera che raccoglieva questi studi e che voleva intitolare, appunto, “Delle maree”. Urbano VIII, disposto a permetterne la pubblicazione, consigliò di mutarne il titolo, in modo che apparisse evidente che la questione del movimento terrestre risultasse solo un’ipotesi e non un fatto reale, capace di produrre effetti reali come le maree: nacque così il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano”, opera di grande vigore polemico, ma debole proprio nel punto che ne avrebbe dovuto costituire il fondamento. Incoraggiato dall’apertura del pontefice, con il beneplacito del Granduca di Toscana, Galileo, che dal 1616 non aveva mai rinunciato a pronunciarsi in favore del movimento terrestre, si recò a Roma. Tuttavia, il tono polemico dell’opera e l’evidente apologia del sistema copernicano, non più presentato solo come ipotesi, ritardarono il sospirato imprimatur. A mani vuote Galileo ritornò a Firenze, dove comunque il libro fu dato alle stampe dal Landini nell’estate del 1631. Nel marzo del 1632 due copie giunsero a Roma. A questo punto la vicenda diventa nebulosa. Certamente Urbano VIII si contrariò per la pubblicazione dell’opera. Si sono avanzate, a tale proposito, diverse ipotesi: la più diffusa riguarda il fatto che il Papa potesse essere identificato, fra i personaggi del “Dialogo”, proprio in quel Simplicio le cui argomentazioni a difesa del sistema tolemaico e della fisica aristotelica cadono regolarmente nel ridicolo; altri sostengono che il Papa e i suoi collaboratori avessero intravvisto, nella fisica galileiana un attentato al dogma della transustanziazione delle specie eucaristiche. Comunque sia, è certo che a Roma ebbero l’impressione di essere stati raggirati, senza avere avuto la possibilità di introdurre le modifiche suggerite dalla prudenza. Il 13 febbraio 1633 Galileo giunse nuovamente a Roma chiamato dall’Inquisizione. Il 12 fu venne sottoposto a un primo esame, che doveva accertare le modalità seguite per la stampa del “Dialogo”; cinque giorni dopo gli fu contestata la contravvenzione all’ammonimento del decreto del 1616, in quanto nell’opera era manifestata l’adesione al sistema copernicano; infine, il 22 giugno, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, Galileo pronunciò l’abiura famosa. Dopo secoli fu Papa Giovanni Paolo II, in occasione delle celebrazioni del primo centenario della nascita di Albert Einstein, di fronte ai membri della Pontificia Accademia delle Scienza, ad esprimere l’auspicio “che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione” approfondissero l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovessero le differenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa collaborazione tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. Il 3 luglio 1981 fu istituita una Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana dei secoli Sedicesimo e Diciassettesimo nella quale il caso Galileo si inserisce e, dopo oltre dieci anni di lavori e a trecentocinquant’anni dalla morte dello scienziato pisano, il 31 ottobre 1992 la Commissione chiudeva solennemente il decennio di studi galileiani durante la Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze riabilitando la verità storica intorno a tutta la vicenda per cui lo stesso pontefice fece pubblica ammenda. Erano passati 359 dall’abiura quando papa Giovanni Paolo II, alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle scienze, dichiarava pubblicamente “gli errori commessi”. Il “Caso Galileo” ha confermato che chi si impegna nella ricerca scientifica debba operare nell’intima convinzione che il mondo non è un caos, ma un “cosmos”, ossia che c’è un ordine perfetto voluto da Dio. Ad Maiorem Dei Gloriam.