(Gennaro Matino di Repubblica) – Chiamiamola sindrome di Don Ferrante: “… al primo parlar che si fece di peste, fu uno dei più risoluti a negarla”, e fu pure tra i primi a contagiarsi e a morirne. Mordente satira del Manzoni che nel personaggio dei Promessi Sposi disegna l’eterno riproporsi del mondo dei saccenti ignoranti che senza rispetto della scienza fanno dei loro convincimenti materia assoluta. Il dramma è che poi a pagarne le spese non sono solo loro. Fino a qualche minuto fa la scienza per lo più doveva fare i conti con gli argomenti della religione e il dibattito si muoveva inevitabile tra i risultati della ricerca scientifica e i fondamenti credenti della verità rivelata.
Teologi, filosofi, scienziati e altri ancora, fin dall’antichità classica, si sono confrontati e scontrati fino a trovare un punto di contatto e di sintesi tra i due mondi che nel dialogo è apparso sempre più interessante, fecondo, necessario e utile per entrambi. Ora che l’antica religione è stata soppiantata dalla nuova fede mondiale, ultratrasversale, ultrametafisica della fake incarnata nel corpo della rete, rivelata dalla sapienza della propaganda, celebrata dal culto dell’insipienza, la scienza è costretta a fare i conti con le ragioni irragionevoli di Don Ferrante. Saprà reggere il confronto con i sacerdoti del nuovo credo?
Riuscirà a convincere il mondo degli utenti più dei tredici appassionati influencer mondiali negazionisti che il vaccino può salvare la vita e che questa storia di ” peste” non dipende da ” l’effetto virtuale de’ corpi celesti”? Sembra assurdo doverlo ammettere, ma non sarà impresa facile e se qualcuno aveva pensato che cancellare le antiche religioni con la nuova comunicazione globale, impresa mai riuscita a filosofi, politici, scienziati, fosse stata una grande vittoria di internet e le sue sorelle, ora a rischio sono la stessa scienza, la politica, la filosofia messe all’angolo dal pensiero del non pensiero, dalla politica senza politica, dalla scienza dell’insipienza.
E le conseguenze ora sono ben chiare, non tanto e solo per qualche chiesa o tempio più vuoti, ma platee enormi di uomini e donne scolarizzate, e tuttavia ignoranti, pronte a fluttuare ora su una “rivelazione”, ora sull’altra a seconda nel numero dei like totalizzati. Una riflessione che oltre la faccenda Covid dovrebbe comunque preoccupare, perché la conoscenza, messa a rischio dal demone della presunzione ignorante, non provoca solo qualche vittima in più tra i non vaccinati, ma cambia il destino del mondo, ne muta i fondamenti di verità oltre questo tempo e per molto tempo ancora. La responsabilità non è degli influencer, non è della rete che in tempo di comunicazione globale ha spazio per dare spazio anche alle fandonie e a chi ha piacere di prenderle sul serio.
La responsabilità è della scienza, della filosofia, della politica che non usano gli strumenti di comunicazione globale, quel linguaggio in uso e consumo tra chi riceve e rilancia mode linguistiche velocemente rinnovabili, per non parlare della religione che per sua natura dovrebbe essere più duttile al cambiamento di parola, ma affascinata dal simbolismo museale resta imbrigliata e spenta. Qualcuno dirà che la scienza e le sue sorelle hanno un metodo, una struttura scientifica che non può essere alterata senza che venga messo a rischio il suo precorso e i suoi presupposti. Non lo nego ma l’Ipse dixit nella comunicazione moderna non regge il confronto. Tutti noi, che in campi diversi per mestiere ci occupiamo del sapere, stiamo fallendo perché lenti, appesantiti, vecchi non nelle cose da passare, ma nel metodo del passaggio dove i migliori sono quelli che vendono fumo o lo sanno vendere bene.
Il passaggio epocale dei nuovi linguaggi ha messo nelle mani di tutti strumenti affascinanti, straordinari di parole che velocemente toccano miliardi di uomini e donne. Titoli, spot ben confezionati che in un istante, ricevuti senza verifica alcuna, diventano verità assolute.
Noi stessi che dovremmo prestare attenzione a non lasciarci suggestionare dai soli titoli clamorosi, ne veniamo attratti e così la non verità è diventata il vero, la menzogna elevata a sistema. Solo impadronendosi dello strumento rivoluzionario delle nuove parole, solo scendendo a patto con la comunicazione globale, la scienza e poi la filosofia, la politica e forse la religione raccoglieranno la sfida di contrastare la sindrome di Don Ferrante. Non è un prostituirsi al nuovo verbo, ma è riprendersi lo spazio di servizio alla verità con parole nuove senza le quali ogni libertà è seriamente compromessa.