(Nicola Zoller di Il Dolomiti) – Cinquecento anni fa, nei primi giorni del 1521, si consumò una rottura storica nella cristianità: Martin Lutero (1483-1543) venne scomunicato dal papa Leone X con la bolla Decet Romanum Pontificem. I seguaci di Lutero all’Università di Erfurt risposero strappando la bolla papale. Da qui prese origine quella che venne definita Riforma protestante.
“Nelle intenzioni di Lutero doveva trattarsi appunto di una riforma, non di uno scisma” scrive lo storico Vincenzo Lavenia [1]. Ma la ‘conciliazione’ nel mondo cristiano si rese impossibile, gli Stati europei per motivi politici “scelsero una confessione contro le altre per conformare i sudditi all’obbedienza” applicando a partire dalla Pace di Augusta del 1555 la norma del ‘cuius regio, eius religio’, per cui tutti erano obbligati a seguire la religione del proprio principe; poi tra Cinquecento e Seicento si precipitò nelle guerre di religione sfruttando – sempre per preponderanti questioni di potere – le divisioni religiose. Solo dopo la Guerra dei Trent’anni (che – come annota lo storico Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” del 24 marzo 2016 – “fu in realtà una lotta per l’egemonia tra la monarchia dei Borbone e quella degli Asburgo”) e la Pace di Vestfalia del 1648, le guerre tra cristiani ebbero termine e si aprì faticosamente l’epoca della tolleranza religiosa.
Dunque la lotta politica sfruttò la religione, mentre in seno a quest’ultima “nessuno ha voluto una riforma che portasse alla frattura della Cristianità occidentale; i novatori volevano la riforma dell’unica Chiesa comune a tutti”. Questa soluzione fallì, ma nella Cristianità – secondo la visione dell’autorevole storico tedesco Hubert Jedin [2], di cui abbiamo appena riportato una considerazione – sia la Riforma luterana che la Riforma Cattolica (il termine Controriforma “fu inventato a posteriori”) si proposero entrambe quale reazione all’umanesimo rinascimentale, muovendosi “per riportare in primo piano i valori oltremondani del cristianesimo, che l’umanesimo secolarizzato aveva messo in disparte, promuovendo la laicità e la morale naturale a scapito dell’etica derivata dalle leggi cristiane”.
Una tesi sostenuta anche dalla storico italiano Delio Cantimori [3], il quale “mise in luce quanto sia il protestantesimo (in misura maggiore) sia il cattolicesimo si mossero contro i valori dell’umanesimo, specie in merito al concetto della supremazia della ragione umana come forza-guida del destino, terreno e ultraterreno, dell’individuo”. Non a caso dunque, con lo studioso americano Hiram Haydn [4], si è giunti a coniare il termine di ‘Controrinascimento’ come “ripudio della tradizionale esaltazione della ragione”.
Ma la tematica è più complessa. Non si tratta tanto o soltanto di una reazione religiosa all’umanesimo, ma anche nel mondo laico sorge una visione scettica e disincantata verso la «retta ragione», a favore di una prassi relativista che coinvolse intellettuali come Niccolò Machiavelli e Michel de Montaigne. Ma per questi pensatori scettico-relativisti si potrebbe parlare, più che di reazione al Rinascimento, di “un momento di riconsiderazione dei suoi valori”. Tanto che secondo lo storico Michele Ciliberto [5] “Controrinascimento e Antirinascimento potrebbero essere aspetti interni del Rinascimento, piuttosto che altro da esso, tensioni anche contraddittorie, istanze critiche destinate [in parte] a proiettarsi e a risolversi nella ‘prima età moderna’”.
Sul fronte religioso i termini sono più netti. Per il luteranesimo mi sono fatto questa idea sbrigativa: ai principi tedeschi (e poi anche ad altri principi europei) non piaceva che i propri sudditi fossero costretti a versare somme alla fin fine ingenti agli ecclesiastici cattolici (a vescovadi, conventi, papato romano, che ovviamente difendevano coi denti queste dazioni) per acquistare indulgenze ‘vendute’ come passaporti di salvezza dell’anima grazie alla creazione del Purgatorio, passaggio penitenziale inventato a partire dal XII secolo per accrescere il potere di intermediazione della Chiesa e dei prelati: un sistema, quello ‘purgatoriale’, che lo storico Jacques Le Goff definirà piuttosto come ‘infernale’ nella sua opera La nascita del Purgatorio [6].
Lutero ebbe buon gioco a sostenere che questo “terzo luogo” non figurava nella Scrittura, e da qui partì ad elaborare il suo trattato sul De servo arbitrio per contestare che con le opere buone, caritatevoli e religiose – e quindi anche con le offerte in denaro alla Chiesa – si potesse acquisire la salvezza. Per il teologo tedesco quest’ultima non era assolutamente raggiungibile attraverso il contributo della libera azione umana (come sostenuto da Erasmo da Rotterdam nel suo De libero arbitrio) ma poteva essere ottenuta solo per fede “che è una grazia gratuita, resa possibile dal sacrificio di Cristo”.
In quanto alle opere umane, esse non avrebbero mai potuto “avvicinare l’uomo alla grazia divina, poiché la malvagità è insita nell’essere umano”: semmai – spiega il filosofo Mario Miegge [7] – “il senso religioso” che molti gruppi protestanti (soprattutto i calvinisti) diedero al successo ottenuto con il lavoro umano, poteva essere “segno della elezione e della grazia» accordata unilateralmente da Dio a determinate persone rientranti nel “numero degli eletti”. Dunque solo la misericordia di Dio può salvarci ed essa non può essere amministrata da intermediazioni umane, in quanto la ragione dell’uomo – servo del peccato originale – è completamente cieca. Un passaggio arditamente avvilente – pur suffragato da precisi rimandi a S. Paolo e S. Agostino – se non pensassimo che grazie a questa credo si faceva venir  meno la ragion d’essere della Chiesa e della struttura ecclesiastica quale ‘ponte’ tra l’uomo e Dio: ognuno poteva essere prete di se stesso, affidandosi direttamente alla Scrittura, non servivano tanti apparati, papi e indulgenze; quanto ai sacerdoti, essi non erano niente di più di persone che coadiuvano i fedeli, per cui potevano vivere come tutti gli altri uomini e anche sposarsi.
In ogni luogo dove attecchì la riforma antipapista si poteva quindi passare all’incasso, incamerando – nei forzieri dei principi – i beni ecclesiastici cattolici, dalla Germania luterana, alla Svizzera calvinista, all’Inghilterra anglicana, con contromosse cattoliche altrettanto invasive. Per questa ingordigia di potere, si insanguinò l’Europa ma le effettive distinzione teologiche tra le confessioni cristiane restarono sottili: per le Tesi di Lutero (che secondo un ipotetico gesto sarebbero state affisse nel 1517 sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg) la salvezza era giustificata solo per fede; secondo il Concilio di Trento (1545-1563) per la fede e per le opere: ma in questa relativa distinzione si inserì mano a mano un solco sempre più profondo fino a considerarsi rispettivamente fra cristiani separati come i peggiori irriducibili nemici.
Per il resto, all’unisono o quasi, tutte le confessioni cristiane non si risparmiarono contro i dissenzienti interni o attigui al proprio campo: nel fronte cattolico, ricordiamo le persecuzioni di Galileo, Campanella e Giordano Bruno; Lutero, “rivoluzionario e conservatore al tempo stesso”, si distinse nella difesa dei poteri costituiti condannando la rivolta dei contadini guidata “dal suo antico seguace Thomas Müntzer, contro cui scrisse nel 1525 uno del libelli più violenti, Contro le orde ladre e assassine dei contadini” (per non parlare della sua collera antigiudaica che condensò  nel “furioso opuscolo” Degli ebrei e delle loro menzogne [8]; non fu da meno l’algido Calvino che fece di Ginevra “un faro dell’intolleranza”, tetramente illuminata nel 1553 dai bagliori del rogo del medico e riformatore religioso Michele Servèto.
Finalmente sulle tracce dei pensatori laici disincantati e dell’ansia di rinnovamento e pacificazione religiosa, arriverà nel corso del tumultuoso Seicento – a rischiarare il pensiero occidentale ed a sopire infine le controversie politico/teologiche che insanguinarono l’Europa fino alla pace di Vestfalia del 1648 – quella che il valoroso storico Hiram Haydn ha chiamato “Riforma scientifica”: si dà per scontato che Dio è il creatore del mondo sensibile e ci si concentra piuttosto sulla “interpretazione matematica del Creato”.
A dimostrazione invece che nella diatriba tra cattolici e luterani erano state prevalenti le motivazioni delle contese politiche-statuali, di interesse pecuniario e di status degli apparati ecclesiastici su quelle – pur non insignificanti – di natura teologico-religiosa, va dato atto che proprio il 3 gennaio 2021 – a cinquecento anni esatti dalla scomunica – è stata riconfermata e pubblicata una nuova traduzione italiana della Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione. Viene spiegato che il testo segna “un passo decisivo nel dialogo tra cattolici e luterani con il superamento di un nodo fondamentale di divisione tra le due Chiese” e cioè la questione della salvezza, che risulta risolta così: “Insieme noi, luterani e cattolici, confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo”.
Aver sciolto – a favore della tesi luterana, a quanto pare – quel nodo reputato “fondamentale” ha riportato la pace tra i fratelli separati. Probabilmente era meno fondamentale di quanto dichiarato e l’intesa poteva ben essere raggiunta fin dall’origine. Ma altre erano le questioni aperte, come abbiamo provato a ricordare più sopra.