MazzaliDi Giorgio De Neri – Dal 1990 a oggi  la contesa sull’eredità del marchese Gerini, che fece l’errore di lasciare un numero imprecisato di miliardi ai Salesiani di don Bosco (che ebbe la ventura di conoscere in vita) portano ogni anno qualche sorpresa alle finanze vaticane.
Dopo che lo scorso 30 aprile era stata evitata per miracolo la messa all’asta della sede della casa generalizia dei salesiani, che poi è quella dell’ex segretario di stato Tarcisio Bertone, giorni fa il “Corriere della Sera” in un informato articolo di Fiorenza Sarzanini ci informa della richiesta di rinvio a giudizio per lo stesso economo dell’ordine religioso, don Giovanni Battista Mazzali nonché per l’avvocato Renato Zanfagna e il faccendiere Carlo Moisè Silvera.
“Sono tutti accusati di truffa – scrive la Sarzanini –  sospettati , come ha svelato un’indagine parallela a quella dei magistrati italiani condotta dalla gendarmeria vaticana, di aver contraffatto un documento per sbloccare l’elargizione di 100 milioni di euro e così chiudere la guerra giudiziaria sul lascito del nobiluomo. Per ottenere la restituzione dei beni lasciati ai religiosi, i suoi nipoti chiesero aiuto a Silvera dopo 17 anni di causa civile che si era risolta in un nulla di fatto.”
L’antefatto ci racconta una storia  che inizia nel 1990, quando  il cosiddetto  “marchese di Dio” muore e, non avendo figli né essendo sposato, e anche avendo tra fratelli e sorelle quattro possibilità di destinare i propri beni, lascia l’eredità ai Salesiani. Sei anni dopo una delle nipoti, Giovanna Gerini (figlia del fratello di Alessandro), impugna il testamento e chiede conto dell’eredità. I parenti del marchese, assistiti dal faccendiere siriano Carlo Moisè Silvera, chiudono una transazione per riconoscere agli eredi il 15% del valore complessivo: 16 milioni di euro a fronte di un patrimonio stimato in 180 milioni.
La Fondazione accettò pensando di potersela cavare vendendo tutti i terreni posseduti nella zona denominata Pesce Luna, nel territorio di Fiumicino, stimata una cinquantina di milioni. Ma l’affare saltò, a causa di una intricata controversia sulla proprietà dei terreni, sui quali nel frattempo erano state fatte trascrizioni. Non solo, ma il successivo – e più grave – problema è proprio relativo alla stima: infatti la verifica finale sui beni fece schizzare la valutazione complessiva a 658 milioni, fissando così il prezzo della transazione a 99 milioni. L’8 giugno 2007 la questione sembra chiusa con la firma delle parti. Ma la Congregazione non paga, e così Silvera fa ricorso al tribunale di Milano ottenendo il pignoramento dei beni del Salesiani per 130 milioni (cosa possibile perché la legge prevede il pignoramento fino a una volta e mezzo il credito vantato).
“La vera svolta arriva però due mesi fa – scrive la Sarzanini –  quando lo stesso legale presenta una memoria per illustrare l’esito dell’inchiesta condotta dalle autorità della Santa Sede. Le verifiche dimostrano la falsificazione della documentazione che nel 2007 concedeva il via libera alla chiusura del negoziato. In particolare nella relazione si evidenzia come la lettera firmata il 19 maggio 2007 dal segretario generale dei Salesiani Marian Stempel per concedere il nulla osta all’accordo, sia stata modificata in più punti, addirittura aggiungendo il paragrafo che obbliga la «Direzione generale Opere Don Bosco» al versamento dell’indennizzo. A modificare il documento sarebbe stato proprio l’economo don Mazzali.”
Scrivono il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto Paola Filippi nella citazione che fissa il processo per il 22 aprile del prossimo anno: “Silvera, Zanfagna e Mazzali, in concorso tra loro, con artifici e raggiri consistiti nell’indurre il segretario del consiglio generale della Società di san Francesco di Sales a modificare il contenuto del verbale della seduta del 26 gennaio 2007 e gli estratti dello stesso, inducevano in errore la “Congregazione per gli istituti di vita consacrata e la società di vita apostolica” in ordine alla circostanza che il Consiglio avesse effettivamente preso atto della proposta di transazione e così autorizzato la “Fondazione Ecclesiastica Gerini” alla sottoscrizione dell’atto transattivo per la chiusura del contenzioso avente ad oggetto l’eredità del marchese, nonché la “Direzione Generale Opere Don Bosco” a garantire le obbligazioni nascenti da detto atto transattivo. Ciò al fine di procurarsi ingiusto profitto con danno per la “Fondazione” e la “Direzione Don Bosco” pari a 99 milioni di euro di cui 16 versati all’atto della sottoscrizione della transazione”.
“A questo punto – commenta l’avvocato Gentiloni a Corsera – chiederemo l’immediato dissequestro delle somme in modo che possano essere utilizzate per le opere benefiche dei salesiani” .
A Roma, sia come sia, i contenziosi per i lasciti ereditari che finiscono ai religiosi stanno da tempo diventando un vero e proprio problema di ordine pubblico.