(Assunta Nero di Ultima Voce) – L’Italia è uno Stato laico sulla Carta costituzionale, ma, di fatto e’ da sempre, considerato cattolico nella sua quasi totalità. È influenzato dalla Chiesa in tutto e per tutto. E l’educazione cattolica investe l’individuo fin dalla più tenera età. Non sempre, però, il modo in cui la religione cattolica viene presentata ai bambini ha un fondamento di natura pedagogica in grado di aiutarne un sano sviluppo psicofisico. Parliamo qui di Cattolicesimo, perché esso è, per storia e numero di fedeli, la parte di Cristianesimo che ha, maggiormente, influenzato cultura e modo di vivere nostrani. Ma alcune caratteriste educative sono comuni alle varie fedi cristiane, da noi in minoranza numerica.
C’è chi, fra studiosi ed esperti di psicologia dello sviluppo, sociologia e pedagogia, è convinto della pericolosità di alcuni assunti e contenuti della dottrina cattolica. Ma è chiaro che, a prescindere dalla posizione di ciascuno di fronte alla fede, rifondare una religione che esiste da duemila anni e su cui si è creata un’intera civiltà, risulta utopistico.
Più realistico e fattibile è rivedere il modo in cui una religione si trasmette alle nuove generazioni, in un tempo completamente diverso da quello in cui essa è nata.

Punti a favore
Niente da obiettare al fatto che, avere una fede, qualsiasi essa sia, aiuti a mantenere un atteggiamento positivo e propositivo e a superare le difficoltà e gli ostacoli di tutti i giorni. È qualcosa di utile da insegnare nelle prime fasi della vita, perché ha a che fare con la speranza e la resilienza.
Un altro dato favorevole riguarda la conoscenza di quelle che, solitamente, chiamiamo radici, delle tradizioni e del contesto socioculturale in cui si è inseriti dalla nascita. Si tratta di un passaggio importante per la costruzione dell’ identità, del rapporto con l’altro e di quelli che saranno i legami sociali futuri. Ciò anche in conseguenza del fatto che, nella maggioranza dei casi, il contesto ecclesiastico e parrocchiale resta una delle prime agenzie di socializzazione del paese, dopo la famiglia e la scuola.
Siamo, tuttavia, davvero sicuri che nulla di come la religione viene insegnata ai più piccoli possa influire negativamente sulla loro crescita?

Tappe di un’educazione cattolica
Il battesimo segna l’inizio di tutto. Da lì in poi il bambino è guidato attraverso un percorso che lo porta ad acquisire un codice morale che dovrebbe accompagnarlo per tutta la vita. Questo percorso parte con le prime basilari regole date in famiglia.  Si intensifica con l’ingresso alla scuola dell’infanzia e i primi approcci alla religione cattolica come materia di studio. Continuerà, in maniera più decisa, nella scuola primaria, seguendolo durante tutto il suo percorso di studi, fino alla fine dell’adolescenza. E passerà per il catechismo e la preparazione ai vari sacramenti.
È un qualcosa che, per impostazione culturale, non è possibile scindere dalla crescita psicofisica della persona.  Andrebbe, quindi, ripensato e reso più adatto alla delicata psiche dei bambini, in continuo mutamento.

Punti discutibili dell’educazione cattolica
Alla base  di tutti gli insegnamenti c’è il concetto di peccato, uno dei cardini dell’educazione cattolica (se non il principale). A esso i bambini sono introdotti fin da subito. E qui sembra legittimo cominciare a porsi degli interrogativi. Uno in particolare, da cui far derivare gli altri.

È proprio necessario parlare di peccato durante l’infanzia?
Non si può introdurre la conoscenza di Dio, di Gesù Cristo e della Chiesa, senza far riferimento a parole come colpapeccato mortale, Satana e Inferno? Dovrebbe venire piuttosto facile intuire quanto questi concetti possano essere dannosi per una piccola mente che si sta formando. È ormai chiaro e ampiamente dimostrato quanto la costruzione del senso di colpa, che influenza la vita adulta di chiunque, sia il risultato dell’interazione del piccolo con gli individui adulti, i genitori in primis. Deriva dalla strategia educativa che gli esseri umani mettono in atto per salvaguardare i piccoli da pericoli fisici e sociali. Senza l’educazione, i bambini non lo sperimenterebbero. L’evoluzione ha dimostrato che educare i piccoli li salva dai pericoli. È vero anche, però, che l’educazione dovrebbe limitarsi all’indispensabile e cercare di salvaguardare la libertà emotiva e comportamentale del bambino, almeno nelle sfere in cui non corre rischi effettivi.

La costruzione del senso di colpa nel bambino
Il meccanismo è ben spiegato da Lucio Della Seta, analista psicologo della scuola di Jung, nel libro Debellare il senso di colpa – Contro l’ansia, contro la sofferenza psichica:
Se ci si mette a osservare un’interazione tra genitore e figlio, ci si accorge che la quantità e la qualità delle sconfitte inflitte all’io del bambino con le parole e con le azioni, cioè le colpevolizzazioni, eccedono quasi sempre le necessità educative e di salvaguardia. Si potrebbe quasi pensare che se gli interventi dei genitori fossero limitati solo a ciò che è indispensabile all’interesse del bambino, si determinerebbero sensi di colpa momentanei e facilmente dissipabili, invece di condensarsi per accumulo e per intensità in un complesso (che, come tutti i complessi, è un frammento di personalità che si stacca, diventa autonomo e disturba dall’inconscio in cui è caduto). Sennonché proprio gli elementi colpevolizzanti stabilizzati nella memoria, consentono il controllo a distanza, nello spazio e nel tempo, del comportamento del bambino. E’ inevitabile quindi che debba costituirsi un complesso di colpa. Tuttavia l’entità del complesso può essere diversa, a seconda di come i genitori usano il loro potere colpevolizzante.

Peccato e senso di colpa
Il problema non sussiste solo nel rapporto genitori-figli ma in tutti i casi in cui i bambini sperimentano un rapporto di fiducia con degli adulti (dai quali durante l’infanzia dipendono) e notano degli atteggiamenti colpevolizzanti. Questi fanno subentrare in loro la paura di perdere affetto e approvazione, dando origine, appunto, al senso di colpa.
Dimostrato ciò, quanto può essere utile presentare Dio e Gesù Cristo a un bambino, raffigurandoli come buoni e misericordiosi, per poi introdurre la nozione di peccato e le sue conseguenze?
Si tratta di una strategia pedagogica che mina la sicurezza del bambino stesso e instaura una paura dalla quale sarà difficile liberarsi in età adulta. Come se non bastasse, egli farà fatica a discriminare tra le categorie giusto/sbagliato, bene/male, buono/cattivo. Tale discriminazione è alla base della strategia educativa indispensabile alla sopravvivenza di cui si è parlato. Quella indispensabile, attenzione, non quella superflua.
Il cervello del piccolo essere umano è molto più plastico e adattabile. Si plasma attraverso tutti gli stimoli cui è sottoposto e per questo, è molto importante che gli stimoli siano quelli giusti. Oppure lasceranno tracce indelebili.

Peccato e affettività
Un altro punto rilevante riguarda quello che effettivamente la Chiesa considera peccato. Ciò che, di regola, non si può fare. Questo, a volte, cozza con la natura e con l’istinto dell’essere umano. L’ essere umano che è, prima di tutto, un essere animale. Imporre qualcosa a un adulto che non è nella natura delle cose, comporta una scelta consapevole e matura fatta, magari per fede, da qualcuno in grado di scegliere. Fare lo stesso con un bambino implica altro.
Frenare l’istinto e l’esperienza in un individuo durante il suo sviluppo psicofisico significa condizionarne o frenarne tale sviluppo. Qui subentra il delicato tema dell’educazione affettiva nei bambini e dell’educazione sessuale negli adolescenti, che è, ovviamente, contraria a certi dogmi della Chiesa, ma che si rivela, oggi, sempre più fondamentale. Un tipo di educazione che includa tutti i sentimenti e valorizzi le differenze di genere e identità di genere. Non perché esista un’ideologia, come alcuni sostengono, ma perché, ancora una volta, si tratta di natura umana.

Un modello educativo da riformulare
E infine, questione non meno importante, è giusto far pensare ai bimbi che ciò che resta lontano dalla fede cattolica sia sbagliato e meritevole di punizione?
Loro interiorizzeranno questo pensiero e lo useranno per categorizzare, osservare e giudicare il mondo. Tutto ciò che non è conforme alla fede cattolica sarà visto come indegno e sbagliato. Ne nasceranno sentimenti di sfiducia e ostilità verso qualunque cosa sia diversa da quelle conosciute. In una società come la nostra, in cui etnie e religioni diverse stanno imparando, con fatica, a convivere, questo non è sano. E rischia di sfociare nell’odio e nel razzismo che, ancora, troppo bene conosciamo.
Assodato, insomma, che l’educazione cattolica resta un punto cruciale della nostra cultura, non sarebbe il caso di rivederla e rinnovarla nei suoi aspetti pedagogici? È auspicabile che si superi un modello educativo ormai stantio e anacronistico in favore di uno più adeguato ai tempi e alla società. Perché educare i bambini alla fede si può, ma preservando dalla paura e dal senso di colpa la loro libertà.