(Don Aldo Buonaiuto di Corriere Adriatico) – Le immagini sconvolgenti delle vittime di Covid abbandonate lungo le strade nei Paesi poveri interpellano la nostra coscienza e rendono ancora più stridente la diffusa sottovalutazione della tragedia in atto. Quanto più si estende la macchia nera di morte del “virus killer”, tanto più risulta incomprensibile la negazione di una situazione globalmente devastante. Nelle stesse ore in cui in Amazzonia o in Indonesia perdono la vita migliaia di innocenti per la mancanza di minimi strumenti sanitari, come una bombola di ossigeno o la possibilità di un supporto medico, in Occidente si edificano colossali teorie cospirazioniste per rigettare il dono dello Spirito Santo costituito da rimedi sicuri ed efficaci quali le vaccinazioni di massa. Tutto ciò è frutto di una mentalità superstiziosa e visionaria che vede il male dove è il bene e il bene dove è il male.
Senza le scoperte scientifiche, scaturite dalla grazia di una intelligenza individuale e collettiva orientata al bene comune, moriremmo ancora per patologie oggi derubricate a banali malanni. Prima della penicillina – scoperta nel 1929 dal batteriologo inglese Alexander Fleming – bastava un semplice taglio per rischiare la cancrena. Senza antitetanica qualunque incidente domestico poteva rivelarsi letale. In Africa ancora oggi si verificano stragi terrificanti per una banale indisposizione che un antibiotico potrebbe curare in pochi minuti. E intanto l’uomo occidentale non trova di meglio che tirare in ballo marziani, 5G, nanochip, inesistenti linee cellulari nel tentativo di gettare al vento ciò che sta scudando milioni di fragili e consentendo alla sanità pubblica di rimettersi faticosamente in piedi dopo il primo tsunami pandemico. La nota più stonata è quella di chi non trova di meglio che crocifiggere il Vicario di Cristo per il buon senso e l’umanità con cui ha definito un dovere morale vaccinarsi e un obbligo internazionale garantire le dosi anche alle Nazioni più indigenti e in difficoltà. Insomma, la bioetica, i principi non negoziabili, la fedeltà all’auctoritas papale valgono a intermittenza, solo quando servono a supportare alcune posizioni a scapito di altre.
È quanto mai attuale il bonario monito di Giacomo Biffi, indimenticato cardinale e arcivescovo metropolita di Bologna: «La distinzione più adeguata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni». Del resto il Magistero parla chiaro sulla totale complementarietà tra fede e scienza. Non può quindi che lasciare allibiti il revival di un cavallo di battaglia delle epoche più buie: il braccio di ferro tra fede e ragione. Le dilanianti divisioni sul contrasto alla pandemia hanno fatto riemergere strumentalmente un’antinomia fra “fides” et “ratio” che era stata ridimensionata a vetusto armamentario ideologico per gli opposti estremismi dei laicisti militanti e degli ultratradizionalisti contrari ad ogni aspetto della modernità. Scandalizza vedere come ci si avvalga dalle opposte barricate di un sentimento umanissimo come la paura, proditoriamente sollecitata per trascinare sulle proprie posizioni segmenti di popolazioni frastornati e confusi. Quasi che una mente atterrita diventi più facilmente manipolabile ad uso e consumo del “don Rodrigo” di turno.
L’errore di scontrarsi sui vaccini, anche in nome di presunte ragioni identitarie, era già stato confutato nell’enciclica del 1998 di San Giovanni Paolo II. Il cristianesimo non presuppone affatto un conflitto inevitabile tra la fede soprannaturale e il progresso scientifico. Il punto di partenza stesso della rivelazione biblica è l’affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, dotati di ragione. La scienza, nel rispetto dei valori inviolabili della dignità umana, ha contribuito alla protezione dell’ambiente, al progresso dei Paesi in via di sviluppo, alla lotta contro le epidemie e all’aumento della speranza di vita. Rappresenta, quindi, un dono provvidenziale ed è di per sé stessa parte del piano del Creatore. Fede e scienza alleate per il bene comune. A meno che non si voglia regredire all’epoca in cui si condannava Colui che faceva i miracoli anche di sabato.