Roma (askanews) – Ottant’anni per un’autentica leggenda. Il 24 maggio 1941 nasceva a Duluth, nel Minnesota, Bob Dylan. Robert Allen Zimmerman, questo il vero nome, di famiglia ebrea ucraina, di Dultuh sarebbe diventato per sempre il “menestrello”: cantautore, musicista, poeta, ma anche pittore e scultore. E infine premio Nobel per la letteratura, nel 2016, per aver “creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. Nel suo palmarès 10 Grammy Award, ma anche un Oscar per “Things Have Changed’”, brano della colonna sonora del film “Wonder Boys”, e un Pultizer.
Un “artista” a tutto tondo, come si suol dire, finito in una delle tante classifiche di Rolling Stone al secondo posto fra gli artisti più grandi di sempre: difficile fare polemica, visto che primi erano i Beatles, scontro fra titani insomma. Esordisce ventenne e rivoluziona subito il mondo discografico con le sue battaglie civili. Nel 1961, dopo alcune apparizioni sulla scena del Greenwich Village a New York, esce “Bob Dylan”, il primo album che spazia tra folk e blues., un mezzo fiasco riscattat con il secondo album e il successo globale di “Blowin’ in the Wind”.Nel ’65 con “Like a Rolling Stone”, arriva uno dei cardini della sua produzione. Un singolo di 6 minuti, contavvenendo alle regole non scritte sulla breve durata. Nel 1966 arriva “Blonde on Blonde”, il primo album doppio nella storia della musica rock, mentre il video promozionale di “Subterranean Homesick Blues” per molti è il primo vero videoclip della storia delle musica.
L’impegno civile è spesso condiviso con Joan Baez, culminato nella Marcia per i Diritti, dal quale più tardi si svincolerà per paura di manipolazioni. Poi l’ondata rock, la svolta elettrica, l’acustica e un ritorno al periodo “country” e intimista verso la metà degli Anni 70. E’ nel 1974 che decide di ritirarsi dalla vita pubblica, subito prima di incidere “Hurricane”, nel ’75, che lo riporta alla protesta e al grande successo commerciale. Nel 1978 si converte al cristianesimo evangelico che porta con sé gli album gospel “Slow Train Coming” e “Saved”, poi nei primi Ottanta partecipa al maxi progetto benefico “We are the World” contro la carestia in Africa. Il cristianesimo è una parentesi, riabbraccerà più tardi la fede di Abramo. E nel 1988 parte il “Never Ending Tour”, ancora ufficialmente in corso, anche se l’ultimo concerto fin qui è del 2019.