(da Calabria Live) – Periodicamente torna nella discussione nazionale la questione dell’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici e, più in generale, della libera esposizione dei segni del sacro da parte dei cristiani in una società ormai complessa, multireligiosa e, come si dice,”laica”. È ora la volta della decisione delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, a cui si era rivolta la sez. Lavoro – con un’ordinanza del 18 settembre 2020 – n. 19618. In breve la vicenda, con le parole dell’Ordinanza della sezione lavoro «la Corte d’Appello di Perugia ha respinto l’appello proposto da F. C., docente di ruolo di materie letterarie, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per trenta giorni, inflitta al C. dall’Ufficio Scolastico Provinciale il 16 febbraio 2009, ed aveva escluso il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal dirigente scolastico, il quale aveva imposto a tutti i docenti di attenersi al deliberato dell’assemblea degli studenti e, quindi, di consentire che nell’aula assegnata alla classe III A dell’Istituto professionale di Stato “Omissis” rimanesse affisso durante lo svolgimento delle lezioni un crocifisso». In sostanza, il docente, lamentando una discriminazione, ritiene illegittima la sanzione disciplinare inflittagli dal Dirigente scolastico.
Di qui le domande importanti, che si muovono tra libertà di religione e autonomia del docente: il dirigente scolastico aveva imposto agli insegnanti solo di tollerare l’affissione del crocifisso nell’aula, oppure di prestare ossequio ai valori della religione cristiana e di partecipare a funzioni di carattere religioso? Viene lesa la libertà di coscienza di un docente non credente o appartenente ad altra fede quando lo si “costringe” a tenere lezione in presenza di un chiaro segno cristiano, qual è appunto il crocifisso? La medesima ordinanza di remissione alle Sezioni unite, richiamando un pronunciamento della Corte europea dei diritti umani, poneva chiaramente in evidenza il motivo del contendere: “Si potrebbe sostenere che l’esposizione del crocifisso, sempre che alla stessa si ricolleghi il particolare significato di cui si è discusso…, pone il docente non credente o aderente ad un credo religioso diverso da quello cattolico, in una situazione di svantaggio rispetto all’insegnante che a quel credo aderisce, perché solo il primo si vede costretto a svolgere l’attività di insegnamento in nome di valori non condivisi, con conseguente lesione di quella libertà di coscienza che il datore di lavoro è tenuto a salvaguardare ogniqualvolta la prestazione possa essere utilmente resa con modalità diverse, che quella libertà garantiscano”.
Mentre i giudici decidono, mi è tornato in mente il magistrato Beato Rosario Livatino, circa il quale il suo confessore ha testimoniato in sede canonica: «Il suo stile di vita era sobrio ed equilibrato: posso ben dire che era esente da vizi, ed aveva un concetto molto umile di sé stesso […] aveva un grande rispetto per i sacerdoti e la gerarchia cattolica […] partecipava attivamente la domenica all’Eucarestia e si intratteneva anche a lungo a pregare vicino al Crocifisso che è in fondo alla chiesa, anche nei giorni feriali». Anche il Vescovo di Agrigento, mons. Carmelo Ferraro, in occasione dei funerali di Livatino, ne segnalò l’adesione all’Azione cattolica e la volontà di esporre il crocifisso: «Nella messa di commiato, il suo Vescovo lo descrisse come giovane “impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’Eucaristia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso”. È attestato il suo impegno affinché, nell’aula delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso».
Certo, oggi nei tribunali non vediamo più dei crocifissi e perfino la formula del giuramento prima delle testimonianze è diventata legittimamente “laica”. Ma nelle aule scolastiche, com’è il caso di specie deciso delle Sezioni unite civili della Cassazione, elimineremo del tutto il crocifisso pur di non ledere l’autonomia religiosa di chi vi entra per apprendere o insegnare?
Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, intervenendo su “L’Unità” (22 marzo 1988) in una discussione analoga, la “laica” Natalia Ginzburg osservava opportunamente come il crocifisso faccia parte della storia del mondo: “Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero”.
A livello europeo, nel caso Lautsi c. Italia, la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (sentenza 18 marzo 2011) ribaltò la pronunzia della Camera che aveva riconosciuto la violazione patita dai genitori di due alunni musulmani “costretti” a frequentare un’aula nella quale era stabilmente esposto il crocefisso. In ogni caso, non si tratta, come in alcuni recenti casi, di una discussione di tipo concordatario. Era l’11 febbraio 1929 quando il regime di Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri, misero per la prima volta nero su bianco i termini di rapporti che fino ad allora non esistevano. Le trattative durarono circa 2 anni e sfociarono nei Patti Lateranensi (un Trattato e un Concordato), così chiamati dal palazzo di San Giovanni in Laterano in cui vennero sottoscritti, che stabilivano il mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e lo Stato Vaticano. Nulla veniva stabilito relativamente all’esposizione del crocifisso nelle scuole o, più in generale negli uffici pubblici, nelle aule del tribunale e negli altri luoghi nei quali il crocefisso si trova ad essere esposto.
Peraltro, la Corte di Cassazione (Sez. III, 13-10-1998) ha già affermato che non contrasta con il principio di libertà religiosa, formativa della Costituzione, la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche: “Il principio della libertà religiosa, infatti, collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto”.
E tuttavia, anche se prima o poi togliessimo dalle aule scolastiche il crocifisso, non potremmo mai eliminare quelle “ripetizioni” che di esso ci danno i tanti, troppi, sofferenti, crocifissi col Crocifisso. Noi della diocesi di Catanzaro-Squillace lo sappiamo bene, grazie alla prime due donne Beate (celebrazione fissata per il prossimo 3 ottobre), entrambe testimoni del Crocifisso nella loro esistenza. Mariantonia Samà (1874-1953), persona semplice, umile, priva di cultura, visse immobile nel suo tugurio per 60 anni a letto, immolata con Gesù sulla croce. Ritenuta santa, i fedeli accorrevano numerosi al suo capezzale per ricevere consigli. Donna di preghiera e di contemplazione, recitava il Rosario e si nutriva di Gesù eucaristia. Nessun lamento, nessun rifiuto, nessuna parola di stanchezza. La forza e la gioia di soffrire, l’attingeva da Gesù Crocifisso. Nel testamento spirituale di Nuccia Tolomeo (1936-1997)) si legge: «Desidero consegnare loro il dono più grande della mia vita, la fede, che Tu gratuitamente, Signore, mi hai elargito, per comunicarmi la sapienza della Croce, farmi penetrare e accettare come servizio speciale il mistero del dolore».
Il Figlio di Dio che muore, abbandonato e deriso, senza dar segni miracolosi della propria potenza va ripetendo la sua storia provocante in ognuno che soffre e muore ingiustamente, come scrive il filosofo e asceta Blaise Pascal: “La nostra religione è saggia e folle: saggia perché è la più sapiente e la più fondata in miracoli, profezie, eccetera; folle perché non sono queste le cose che fanno sì che si appartenga a lei. A farci credere è la croce”.