da www.ilsitodifirenze.it – La nostra vita di credenti non ci rende migliori degli altri, la fede in Cristo ci fa diventare solo più consapevoli. Gratuitamente abbiamo ricevuto questo grande dono e allo stesso modo siamo chiamati a continuare il cammino terreno nel solco della gratuità. “Non avresti Dio se Lui non ti avesse trovato” suonano più o meno così le parole rivolte a Pelagio da Agostino. Il vescovo d’Ippona che ricorda al monaco irlandese dell’amore che non si conquista, non si merita. Semplicemente l’incontro con Dio parte dal dono e non dalla volontà. Lo stesso vale per la conoscenza, la cosiddetta gnosi. Gesù non è il rivelatore di chissà quali segreti, non è l’uomo degli effetti speciali, è l’unico Maestro che pur insegnando la giustizia non dimentica la carne del fratello.
Il compito a cui ciascuno di noi è chiamato è quello di cercare Dio con tutte le nostre facoltà ma subito dopo equilibrarle. Solo così potremmo fuggire le tentazioni fideistica e razionalista. Il nostro cammino porterà frutto se noi impareremo l’umiltà che insieme alla gratuità sono la forma di Dio e le forme dell’amore. Dio è innamorato di noi e chi vuol bene non lega a sé l’altro, lo lascia vivere liberamente, lo lascia rischiare. Dio non si impone, Gesù una volta risorto non va a mostrarsi a Pilato o al sinedrio irridendoli: “Voi mi avete ammazzato e io sono risorto”. Va dai suoi amici, si mostra alle donne, la parte debole della società dell’epoca e ai suoi discepoli pescatori figli del popolo.
Il Signore si è mostrato non con la potenza ma con la debolezza. A noi non torna questo discorso, perché abituati all’onnipotenza di Dio e alla grandezza della Chiesa che nel corso dei secoli si è apparentata con il potere politico, dimentichiamo la mitezza di Gesù e le parole di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito” (3,16). Il mondo intero non la Chiesa sola.
Il Regno di Dio infatti è più grande della Chiesa. Per evitare il fondamentalismo religioso che riguarda anche parte del cristianesimo bisogna rimettere al centro l’evento Cristo, è Lui che ci fa gustare la salvezza, il fine assoluto di ogni vita umana. In ogni epoca invece tendiamo a proiettare su Gesù quelle che sono le idee del nostro tempo e quindi ad allontanarci dalla centralità del vangelo in cui il Gesù terreno ha messo al centro della propria vita il Padre. Non sfugge ad una lettura attenta dei vangeli che il Nazareno con le sue qualità e il suo carisma avrebbe potuto essere un leader vincente, un conquistatore più grande di Alessandro Magno, ma preferisce fare della propria vita un dono e invita noi a fare lo stesso, a guardare la vita con i suoi occhi, con gli occhi di Dio pieni di umiltà per abbandonare il nostro interesse, la nostra superbia, la nostra vanità e far vivere Lui in noi. Paolo ai Galati lo scrive chiaramente: “Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me” (2,20).