(Roberto De Mattei di Corrispondenza Romana) – Nelle epoche di confusione della storia, alla crisi dell’autorità corrisponde l’oscuramento della verità. Privo di punti di riferimento, l’uomo comune sostituisce alla verità la propria opinione, caricandola di tutta la passione di cui è capace ogni anima che cerca l’assoluto. La verità si personalizza. Un tempo, osservava già molti anni fa un filosofo francese, si amavano le persone attraverso le istituzioni, mentre oggi si sopportano le istituzioni solo attraverso una persona idolatrata (Gustave Thibon, Diagnosi, tr. it. Volpe 1973, p. 125). Così accade per le idee.
Questa eclissi della verità, che risale al Concilio Vaticano II e alla Rivoluzione del Sessantotto, fu denunciata da molti scrittori cattolici, ma oggi qualsiasi fedele può misurarne le drammatiche conseguenze. Ci si illude ad esempio che per arrestare la crisi nella Chiesa sia sufficiente contrapporre a papa Francesco, considerato come il massimo responsabile di questa crisi, un altro personaggio, possibilmente vescovo o cardinale. E colui che impersona l’anti-Bergoglio diviene, non di principio, ma de facto, un “antipapa”. Un antipapa, beninteso, senza alcuna pretesa canonica, diverso da quelli che la storia ci ha fatto conoscere. Gli antipapi del passato cercavano soprattutto la legittimità giuridica, per opporsi a chi ritenevano fosse un usurpatore, mentre oggi la dimensione istituzionale della Chiesa è offuscata da oltre mezzo secolo di antigiuridicismo. Così, al “falso” papa Bergoglio viene addebitato ogni errore e al vescovo fedele alla Tradizione che a lui si oppone vengono attribuite tutte le virtù, caricando di infallibilità ogni sua parola o comportamento. Il riferimento al caso di mons. Viganò è chiaro, anche se, per sgombrare il campo da ogni equivoco, non affermo in alcun modo che l’arcivescovo italiano si consideri un antipapa. Apprezzo la sua fedeltà alla retta dottrina e mi compiaccio del fatto che egli non abbia mai affermato che la successione apostolica sia interrotta. Temo invece che alcuni dei suoi più fanatici seguaci possano spingerlo verso l’abisso, ed è questo che mi ha spinto ad intervenire con due articoli su Corrispondenza Romana del 21 e del 23 giugno 2021. Gli articoli hanno suscitato l’approvazione di alcuni, la furia di altri, la perplessità di altri ancora. Ed è soprattutto ai perplessi che ora mi rivolgo.
Dal punto di vista della dottrina mi preoccupa un certo complottismo utilizzato da mons. Viganò per imporre una narrativa priva di fondamento razionale, in maniera analoga a chi si serve di presunte rivelazioni private per chiudere la bocca ai propri interlocutori. Il complottismo non ha nulla a che fare con lo studio serio e documentato delle società segrete nella storia, ma è la cieca adesione all’ideologia della “cospirazione permanente”, per cui, come è stato giustamente notato, «chi non condivide la teoria del complotto è parte egli stesso del complotto, o al soldo di chi lo ordisce; mentre chi denuncia il complotto viene percepito come il profeta cui affidarsi per uscirne» (https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/il-tradizionalismo-e-il-pericolo-del-complottismo/).
Ed è in questa cornice cospiratoria che alcuni cercano di spingere mons, Viganò verso una “religione no-vax”, che trasforma in dogmi certe legittime critiche che possono essere rivolte alla campagna mondiale di vaccinazione. Per chiunque rifiuti la fede no-vax, la scomunica è pronta.
Più grave ancora è la pretesa di affidare a mons. Viganò una missione salvifica all’interno della Chiesa, che, invece, può essere solo salvata dal suo Fondatore, Gesù Cristo. Mons. Marcel Lefebvre, a cui alcuni vogliono paragonare mons. Viganò, restò fedele alla Tradizione in un’epoca tempestosa, ma non fu mai autore di proclami rivolti a Capi di Stato, vescovi o semplici fedeli, né mai rivolse a Paolo VI espressioni di disprezzo simili a quelle che oggi mons. Viganò riserva a papa Francesco.
E’ per questo che mi è sembrato di notare una divergenza tra il linguaggio e il contenuto del mons. Viganò prima maniera (2018-2019), che ho conosciuto e apprezzato, e lo sconcertante mons. Viganò seconda maniera (2020-2021). C’è chi vede in questo mutamento una “maturazione” delle sue posizioni. Io ho invece il dubbio che possa essere il risultato di una certa manipolazione. Poco o nulla sappiamo sugli attuali collaboratori di mons. Viganò, perché l’arcivescovo vive in una località sconosciuta, senza quasi mai apparire in pubblico. Tuttavia, crediamo di avere individuato il suo principale “ghost writer” in Cesare Baronio, alias Pietro Siffi, autore del blog Opportune e importune. Non ho nulla di personale contro Pietro Siffi, non ho rivelato alcun particolare della sua vita che non sia documentabile, né ho espresso giudizi morali sulle sue vicende personali. Mi sono limitato a meravigliarmi della collaborazione di mons. Viganò con questo discusso personaggio, sconosciuto al fuori dell’Italia, ma conosciuto più di quanto non sembri nel mondo tradizionalista italiano.
Mons. Viganò viene applaudito dal mondo tradizionale quando accusa papa Francesco di essere circondato da un “cerchio magico” di “pervertiti”, come ha fatto nella dichiarazione al quotidiano La Verità del 3 novembre 2020 e in innumerevoli altri scritti. Se però qualcuno fa rispettosamente osservare a mons. Viganò che dovrebbe prendere le distanze dai personaggi che lo circondano legati al mondo gay-friendly, diviene colpevole del crimen leasae maiestatis. E’ qui che si dimostra, non dico la malafede, ma quanto meno il cattivo uso della ragione di alcuni dei miei critici.
Come abbiamo scritto, non avremmo mai aperto il caso se tanti buoni tradizionalisti non presentassero come un quasi-magistero le dichiarazioni, non di mons. Viganò, ma del suo “doppio”. Le nostre preoccupazioni non sono esagerate. “Se non ci preoccupiamo di un vestito che comincia a scucirsi, questo finirà con lo strapparsi dappertutto; se nessuno si dà pensiero anche di poche tegole del tetto che sono precipitate, la casa intera, alla fine crollerà” (San Giovanni Crisostomo, Omelia sulla prima lettera ai Corinti, 8, 4).
Alla nostra richiesta di chiarimento, mons. Viganò, dopo una settimana, non ha ancora risposto. In compenso siamo stati violentemente attaccati da numerosi blog che ne diffondono il pensiero. La ferocia di questa reazione conferma quanto fosse necessario il nostro intervento. Non mi riferisco a chi è sceso a calunnie e diffamazioni che per la loro assurdità non meritano la mia considerazione, ma a chi ha sollevato il dubbio che io possa avere qualche recondito interesse in questa controversia. Oggi la mentalità relativista è così diffusa che non si riesce a concepire che vi possa essere qualcuno che combatte per puro amore della verità. Coloro che ritengono che ogni azione debba essere spiegata da bassi sentimenti e oscuri interessi sono evidentemente abituati ad agire in questo modo e non riescono a comprendere il disinteresse di anime più elevate delle loro. Perciò san Gregorio Nazianzeno afferma che essi “sono soliti giudicare la sensibilità e la condotta altrui sulla scorta del proprio modo di agire e di sentire” (Fuga e autobiografia, Città Nuova 1987, p. 33).
C’è infine chi mi accusa di voler dividere il mondo tradizionale. Sono le stesse accuse che nel corso del Concilio Vaticano II vennero rivolte ai Padri Conciliari del Coetus internationalis da certi vescovi conservatori, che ponevano l’unità della Chiesa al di sopra della Verità del Vangelo, anche quando il corpo visibile della Chiesa era ormai oggettivamente frantumato.
In Italia si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri (1265-1321). Il grande poeta, che partecipò in prima persona alle lotte politiche e religiose del suo tempo, nutriva un forte disprezzo verso i pavidi e i pusillanimi. “L‘anime triste di coloro / che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo» (Inferno III, 36), sono il primo gruppo di spiriti che egli incontra appena varcata la soglia dell’Inferno, mischiati al cattivo coro «de li angeli che non furon ribelli / né fur fedeli a Dio». Ed è questo il “terzo partito” di coloro che chiamano “prudenza” la loro codardia, astenendosi sempre dal prendere posizione nei grandi conflitti dottrinali della storia.
Lotte e divisioni interne hanno sempre accompagnato la storia della Chiesa. Perché Dio le permette? San Paolo, nella prima lettera ai Corinti scrive: “Necessario è che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi» (1 Cor. 11, 19). Le divisioni, spiega a sua volta san Vincenzo di Lérins (Commonitorium, XIX, 1), sono permesse dalla divina Provvidenza, perché: “Il Signore vostro Dio vi mette alla prova, per sapere se lo amate con tutto il cuore e con tutta l’anima» (Deuteronomio,13, 3). Infatti, «il cattolico vero e autentico è colui che ama la verità di Dio e la Chiesa, corpo di Cristo, che non antepone nulla alla religione divina e alla fede cattolica, né l’autorità di un uomo, né l’amore, né l’ingegno, né l’eloquenza, né la filosofia” (Commonitorium, XX, 1).
Mi si accusa infine di condurre una polemica ad personam, ma è un errore tipicamente liberale quello di affrontare la battaglia culturale e religiosa facendo astrazione da chi promuove e difende le idee che combattiamo. La maggior parte dell’opera di sant’Agostino fu una polemica personale e dottrinale al tempo stesso, come ci testimoniano i titoli di tante sue opere: Contra Fortunatum; Adversus Adamantium; Contra Felicem; Contra Secundinum; Quis fuerit Petilianus; De gestis Pelagii; Contra Julianum (Dom Felix Sarda y Salvany, Le libéralisme est un péché, Editions de la Nouvelle Aurore, 1975, p. 116).
Per questo continuerò a combattere in difesa della verità in maniera leale e disinteressata, senza sottrarmi alle controversie personali. Un grande storico contro-rivoluzionario, come Jacques Crétineau-Joly (1803-1875) ci ricorda che “la verità è la sola carità permessa alla storia”.