(Rodolfo Casadei di Tempi) – Maria Grazia Bighin non era una persona famosa, dunque la pubblicazione del suo epistolario a otto anni dalla morte non rappresenta un evento atteso. Relativamente pochi a questo mondo sapevano della sua esistenza e si sono interfacciati con la sua vita. Ma le pagine di “Come una sposa” (Cantagalli 2021, 313 pagine, 22 euro) ne fanno una sorella universale, una benedizione per tutti: quanti desiderano un rapporto con Dio vi troveranno un ausilio provvidenziale e insperato, un dono inatteso per tutti i mendicanti del divino fatto carne.
Le sue lettere, collocate lungo un arco di tempo che va dai suoi 19 anni fino agli ultimissimi giorni di vita nel dicembre 2013, poco prima del suo 64esimo compleanno, raccontano il compiersi di una vocazione che è il compiersi di un amore: l’amore per Cristo che rende amabile ogni realtà e ogni essere umano incontrato. L’uso più consono che se ne può fare è di utilizzarle come testo base per la meditazione quotidiana, per la preghiera personale, per i momenti di silenzio in cui si attende la voce di Dio. Spesso il contenuto di una singola lettera basta per il lavoro su di sé di un’intera settimana, tanti sono gli spunti raccolti in poche righe. E considerato che ha fatto parte per ventotto anni dei Memores Domini (laici consacrati secondo il carisma di Comunione e Liberazione), entrata fra le primissime nella casa di Gudo Gambaredo, prima di partecipare alla Fraternità San Giuseppe (altra forma di consacrazione laicale nello spirito di Cl) su indicazione di don Luigi Giussani che nel 1971 l’aveva portata nell’allora Gruppo Adulto, le lettere di Maria Grazia aiuterebbero a vivere al meglio la regola del silenzio nelle case comunitarie.

I temi dominanti delle lettere
I temi dominanti e ricorrenti delle 300 pagine di lettere scritte a sacerdoti (a don Angelo Busetto, sua prima guida spirituale, scriverà per tutta la vita dal 1969 al 2013), amiche e amici, genitori e fratelli, sono la rinuncia a sé, la debolezza umana come condizione della vittoria di Cristo nella persona, la necessità di portare la propria croce e accettare ogni sofferenza per assimilarsi al Redentore, l’obbedienza alle circostanze dell’esistenza, l’iniziativa di Dio che precede ogni sforzo umano, l’offerta totale di sé, il desiderio spasmodico dell’incontro finale con Cristo nella Comunione dei Santi.

La chiamata alla verginità
La vocazione di Maria Grazia si manifesta impetuosa dopo un grave incidente stradale che “mi ha lasciata sfigurata per lungo tempo a 17 anni, quando stavo fiorendo alla vita ed ero orgogliosa della mia bellezza; ho capito che la vita che io disprezzavo era amata, che Qualcuno mi aveva salvata perché mi voleva per Sé. È stata la chiara chiamata alla verginità, anche se avevo un fidanzato”.

Cosa vuol dire “Comunione”
Dopo un primo approccio con le Piccole sorelle di Charles de Foucauld che non soddisfa le sue inclinazioni, la ragazza di Chioggia trova corrispondente a sé la proposta del Gruppo Adulto che le fa don Giussani in persona. Per tutta la vita sarà quella (insieme alla Fraternità San Giuseppe) la forma della realizzazione della sua vocazione, vissuta con gratitudine ma anche combattendo implacabilmente ogni formalismo e moralismo: “Cosa sarei senza la Compagnia vocazionale che ripete alla mia fragilità: “Cristo è più forte della tua debolezza, Cristo sta vincendo in te”? (…) Noi non siamo dei bigotti, ma delle persone che vivono con delle ragioni profonde. Sbagliamo come tutti gli altri, ma ci perdoniamo. L’esperienza nostra è quella di essere abbracciati da un Dio misericordioso, che ama l’umano, che non è solo giudice severo. Imparando a guardarci come Dio ci vede, noi diventiamo amici (questo vuol dire “Comunione”), e diventando amici fra noi, possiamo creare dei luoghi in cui il bisogno dell’altro è condiviso (questo vuol dire “Liberazione”)”.

La proposta di un’amicizia affascinante
La gratitudine per l’incontro fatto non ottunde il senso critico: “La sua vittoria è la radice della nostra unità! Altrimenti restiamo ognuna ancorata a se stessa, a quella ridicola “nicchia” che ci siamo costruite, ed è la nicchia di una “santità personale”, in cui ognuno tira l’acqua al suo mulino, in cui ognuno si lucida la sua “aureola” (…) la vita viene solo se dimentichiamo il nostro piccolo piedistallo e ci diamo da fare per costruire il Suo altare”.
“Voglio trovare anime libere, che aderiscano alla proposta di un’amicizia affascinante, di una compagnia, non ad uno schema dove tutto è già pensato e prefissato da altri”.

La malattia come la Croce
La seconda metà del libro è occupata da lettere scritte dopo che si è manifestata la malattia che la porterà alla morte, un mieloma multiplo. Le pagine diventano sempre più pesanti da girare, le meditazioni sempre più vertiginose e coinvolgenti.
Ieri ho capito che il “diadema regale” che Gesù desidera donarmi è la sua “corona di spine”.
Non si può vivere il cristianesimo “a buon mercato”, e non per uno strano masochismo. Ma perché Lui, nostro Capo, sta appeso alla Croce e ci chiede la libertà di seguirLo fin là dove Lui stesso è”.
La malattia progredisce, i dolori fisici aumentano e non tutti compagni di cammino si mostrano all’altezza della situazione, ma insieme cresce esponenzialmente il desiderio del compimento: “Ho atteso tutta la vita questa familiarità con lo Sposo, questa “prima ed ultima cena”, questo “faccia a faccia supremo” dove possiamo comunicarci l’Essere e dove si impara veramente l’abbandono vertiginoso di sé…”.

Un libro per fare memoria
È un libro che spinge a fare memoria: con gratitudine o con nostalgia, con sollievo o con rimpianto, in un modo o nell’altro le pagine di Come una sposa rimandano il lettore al suo personale decisivo incontro con Cristo. E insegnano ad essere esigenti con se stessi, seri con la vita, come lo è stata l’autrice delle lettere fino all’ultimo respiro.
È anche un libro per tutti quelli che si sentono traditi: dagli amici, dalla comunità, dagli imprevisti della vita. Senza peli sulla lingua, Maria Grazia sorprende meschinità e superficialità del suo prossimo, ma insieme indica la strada per farne occasioni per scoprire la fedeltà di Dio, per liberarsi delle proprie immagini limitate di santità.

Le parole del cardinal Scola
Nella prefazione il cardinale Angelo Scola, che la conobbe, scrive: “Il filo rosso della sua straripante umanità, insofferente di ogni accomodante formalismo, è stato la ricerca inesausta di aderire, fino in fondo e ad ogni costo, allo forma con cui lo Sposo amato la stringeva a sé”.
Il giusto seguito della raccolta epistolare potrebbe essere una raccolta di testimonianze di quanti ebbero familiarità con lei. Sarebbe sicuramente altra ricchezza messa a disposizione di tutti.