(Antonio Saccà di l’Opinione delle libertà) – Sebbene l’Umanesimo avvenga nel Medioevo esiste una differenza radicale nell’ambito dello stesso Medioevo tra un Medioevo nel quale la religione cattolica domina la cultura e riconduce tutta la cultura precedente al Cattolicesimo, che stabilirebbe la verità, e per il quale ciò che è mondano risulta fugace, inconsistente, mentre esclusivamente in Dio e nell’Aldilà l’uomo troverebbe l’effettivo valore dell’esistenza; ed un Medioevo che si volge anche al piacere di vivere, ai risultati mondani non esclusivamente legati a fini religiosi ma persino all’apprezzamento della cultura pagana, dunque non cattolica. Quest’ultimo Medioevo è quello umanistico. L’iniziatore universalmente riconosciuto di queste convinzioni è Francesco Petrarca. Francesco Petrarca nacque, nel 1304, ad Arezzo, ma la sua famiglia si spostò ad Avignone, in Francia, sede, allora, del papato. Petrarca è l’umanista per eccellenza, coltiva la letteratura classica latina e greca, ne cerca i testi, scopre opere importanti, ne apprezza la civiltà, in specie la scrittura, il valore della forma indipendentemente dall’essere, i testi, di concezione cattolica, ne condivide la ricerca della gloria terrena come scopo essenziale della vita, tutto ciò in modo problematico, senza un distacco dai valori ultraterreni, anzi spesso pentendosi d’aver dato rilievo alla fama terrena, alla vita mondana e soprattutto all’amore per la donna.
Si può affermare che lo spartiacque tra il Medioevo religioso ed il Medioevo religioso umanistico lo si coglie, appunto, nel modo in cui viene considerata la donna. In Dante la donna per essenza è Beatrice, entità femminile ma disincarnata, indicatrice della virtù, della elevazione a Dio, senza la minima corporeità. In Petrarca la donna amata, Laura, è amata in maniera pura, devota, incontaminata ma Laura non è indicatrice di virtù oltremondana, è amata nel suo corpo, in certo senso è amata spiritualmente nel suo corpo, esclusivamente in quanto donna, non veicolo di elevazione religiosa, al punto che Petrarca si rimprovera di porre affezione in “cosa mortale”. Il fatto è che mentre l’immortalità per un certo Medioevo era soltanto quella dell’anima nell’aldilà, per il Medioevo umanistico l’immortalità era anche nella gloria terrena e nell’apprezzamento per le vicende terrene per se stesse non come mezzo all’aldilà.
Con Francesco Petrarca la lingua detta volgare giunge ad un affinamento limpidissimo, conclusivo. Petrarca non ha l’inventiva dei termini di Dante, non conia parole, non le altera, Egli depura, addolcisce, musicalizza il volgare, lo rende sereno, chiaro, celestiale, leggero, e di stupefacente modernità. La sua opera poetica non ha né i personaggi, né le oscurità, né l’energia di versi rapidi ed estremi come in Dante, non ha la grandiosa visione di insieme, non ha la rigogliosa varietà di toni, non ha il tragico ed il lirico di Dante, ma ha la misura alla greca, concisa, quadrettata, acquarellata, la parola traspare, è leggiadra e nitida, con velature di perpetua malinconia all’ombra della morte, del Tempo che corre via, del fare qualcosa che valga, mentre la certezza di una ricompensa nell’aldilà si attenua e la vita nell’aldilà quasi sparisce. Questo è il punto dolente e decisivo dell’Umanesimo, amare la vita e sapere che la vita muore e non avere più la certezza gioiosa di un rimedio nell’aldilà o non sentirlo come nel Medioevo religioso quale ideale assoluto. In Petrarca è questo, l’Umanesimo.
L’opera del Petrarca che lo rese e lo rende non dimenticabile è “Il Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta)”. Queste poesie sparse, sparpagliate, scritte nella così detta lingua volgare, contengono nel titolo una svalutazione: Frammenti di cose scritte in volgare, come a dire: cosette, roba da nulla. Petrarca era un umanista “classico”, viveva più con i romani antichi che con i contemporanei, al pari di altri italiani illustri (e non soltanto italiani), si immergeva nell’antica civiltà per averne esempio e per fuggire il presente. Dunque, un umanista “classico”. Scrisse presso che tutta la sua opera in latino, persino le lettere. Ma paradossalmente il suo pensiero, anche se espresso in latino, è più problematico del pensiero di Dante. Infatti il latino riportava Petrarca ai romani antichi, scettici, ossessionati dalla morte, del tempo fuggente, lo accennavo, e lo separava dall’ossessione religiosa. Petrarca era moderno nel pensiero espresso in una lingua antica e che in parte riprendeva la Roma “classica” e la Roma della crisi.
Il “Canzoniere” è raccolta di sonetti, di canzoni e di altre formulazioni. Il Sonetto ha una struttura codificata, due Quartine, di quattro versi ciascuna; due Terzine, di tre versi ciascuna; le Quartine danno rima il primo con il quarto verso, il secondo con il terzo; le Terzine danno rime il primo ed il quarto, il secondo ed il quinto, il terzo ed il sesto. È un andamento obbligato, come la Terzina in Dante. Le Canzoni rispettano anch’esse obblighi di rima. Forse era la musicalità che imponeva tali obblighi, e, pure, la differenziazione con la prosa, o il fatto che era una poesie letta a voce alta, o accompagnata dalla musica, in ogni caso per secoli la poesia fu collegata alla rima. In effetti la rima assegna alla poesia musicalità, perfino cantabilità, sebbene la possa far scadere nella cantilena e le faccia perdere ampiezza e libertà di modulazione. Petrarca sopraneggia nel Sonetto, ma pure in talune Canzoni, sembra gli sorgano spontanei, rifiniti e precisati di getto, una situazione definita, pulita, ben evidenziata, e per la parte riferita a Laura, un canto ininterrotto di amore non felice ma non disperato, e se non tragico, dolente, malinconico, dicevo, costantemente. Petrarca non pensa che a Laura, ne fa paragoni eccelsi, la sogna, la vede, sempre come una meta lontana, una meta, tuttavia, corporea.
Il padre di Francesco era un Guelfo Bianco, condannato quando i Guelfi Neri presero il potere, venne esiliato e con una mano tagliata. Notaio, Ser Petracco, si reca in Francia, alla Corte papale, giacchè a quel tempo il Pontefice sta ad Avignone. Il piccolo Francesco è portatissimo agli studi, che, per qualche tempo sono giuridici, non amati. Studia anche in Italia, a Bologna, patisce la morte della madre, e la morte del padre, che però lo rende sciolto dagli studi giuridici, volgendosi animatamente agli studi letterari. Entra a servizio dai Colonna, potente famiglia romana, ad Avignone, prende gli ordini sacri, che non gli impediscono di avere figli, viaggia con i Colonna in Europa, stabilisce amicizie internazionali. È un lettore scatenato, un cercatore di libri indomabile, del resto, lo era il padre. Si pone, per inclinazione spontanea, come riscopritore della civiltà classica romana, restauratore della testualità effettiva delle opere antiche, al dunque, inizia la filologia. Scende a Roma, presso un membro della famiglia Colonna, la Città Eterna lo esalta, vorrebbe che il Pontefice vi tornasse. Anche se giovane è in condizioni di acquistare una casa a Valchiusa, presso Avignone, isolata, dove studiare, incontrare amici eletti. Compone il poema “Africa”, in lode di Scipione l’Africano, e il “De viris illustribus”, biografie di personalità del passato. È ormai netta la sua concezione, il ripristino della grandezza di Roma antica, l’esaltazione degli uomini illustri. In ogni caso, è cattolico, influenzato da Sant’Agostino, di cui legge il “De civitate Dei”, e le “Confessioni”. Il 6 aprile del 1327 incontra, vede Laura, nella Chiesa di Santa Chiara, ad Avignone.
Dante, Petrarca, Boccaccio sono uomini-epoca. Dante è il Medioevo, Petrarca è l’Umanesimo, e lo è anche Boccaccio, l’Umanesimo. Chi è l’uomo medioevale? L’abbiamo detto, ma occorre insistere. È colui che vede la Terra come un passaggio per il Cielo. Si impegna nelle lotte, si spende per la Società, il Comune, il Regno, l’Impero, ma, al dunque, ritiene tutto ciò un passaggio per il fine realmente essenziale: l’Aldilà. Lasciare la Terra per l’uomo medievale non è una tragedia. L’uomo umanista condivide l’importanza dell’Aldilà ma ama la Terra, la vita mondana, la gloria nella posterità, si che lascia il Mondo con rimpianto, se è felice di pervenire all’Aldilà gli spiace lasciare l’Aldiqua, è attaccato alla bellezza, ai libri, venera il mondo romano non evidenziando che non era cattolico, soffre la morte, e se l’uomo medioevale coglieva nel perire delle vicende terrene la vanità del Mondo, l’uomo dell’umanesimo è spiacente che le vicende terrene svaniscano, e cerca di eternarsi pur riconoscendo che la stessa gloria perisce, ma la cerca, la vuole. Talvolta si rimprovera di questo attaccamento terrestre ma non si libera, né vuole, dall’amare Roma, Cicerone, Virgilio. Se, per dire, Virgilio accompagna Dante fino al “Purgatorio”, Petrarca e Boccaccio lo tengono al fianco sempre, e staccarsene è inconcepibile. In Petrarca e Boccaccio la religione non sorpassa la cultura pagana romana. Se ne dolgono, ma sono immedesimati nella terrestrità, per cui risuscitano quella civiltà umanistica ammiratrice dell’arte che fu e dovrebbe restare il valore essenziale delle civiltà.