di Amos Vitale – Per l’ebraismo potrebbero stare assieme senza fare a pugni. Una volta di più le autorità Halachiche (i rabbini incaricati di interpretare la realtà contemporanea alla luce delle regole fissate dalla scrittura e dalla tradizione) disorientano i moralisti della domenica, e cominciano ad analizzare una delle questioni morali più scottanti e delicate di questa fine millennio con taglio del tutto anticonvenzionale.
Responsabile della sezione di etica medica e legge ebraica all’università di Gerusalemme, consulente del rabbinato Aschenazita (di matrice culturale centroeuropea) in Israele, scienziato, rabbino, il professor Igael Safran è fra le prime autorità a pronunciarsi su un argomento che una volta di più rischia di vedere la cultura ebraica su un fronte opposto rispetto alle altre tradizioni religiose. E da molti viene considerato eccessivamente moderato.
“Non vedo niente di terribile – ha scritto attaccandolo l’autorità Halachica statunitense Yaakov Menken – nelle ricerche sulla clonazione attualmente in corso. Mi stupisce che il rabbinato israeliano le trovi discutibili. Il fatto che si possano prefigurare degli abusi non è certo un motivo per proibirle e per fermare una ricerca che può determinare grandi progressi della medicina. Il vero problema morale – aggiunge – non è tanto la creazione di cloni umani, quanto come ci comporteremo nei loro confronti dopo averli messi al mondo”.
“Piuttosto che precipitarci a lanciare anatemi – ha dichiarato il suo collega Avi Shafran – dovremmo fermarci ad ammirare il miracolo che regola il funzionamento del dna che questi esperiementi evidenziano semmai con maggior chiarezza”. A quanto sembra, professor Safran, i rabbini sono fra i rari uomini di fede cui Dolly, la pecorella scozzese clonata, non è dispiaciuta.
Quando il gran rabbino Aschenazita Israel Lau mi ha chiesto di predisporre un parere sulla nascita della pecora riprodotta da altre cellule della stessa specie senza l’intervento di un esemplare maschio, mi era sembrato opportuno consigliargli la prudenza. La questione, in effetti, si presenta in maniera molto controversa e non può essere liquidata facilmente con una battuta. La presa di posizione del rav lau si è infatti mantenuta su questa linea di equilibrio.
L’ebraismo non lancia anatemi nei confronti della ricerca scientifica, non è interessato a gridare allo scandalo non appena qualcosa di nuovo si muove in una provetta, ma contemporaneamente ha il dovere di domandarsi dove ci stanno conducendo le scoperte dei ricercatori. Sta di fatto che questa posizione intermedia da molti è stata attaccata. Gli uni (essenzialmente non ebrei) l’hanno considerata troppo avanzata, mentre altre autorità ebraiche, a cominciare dal gran rabbino sefardita (di cultura mediterranea) di Israele, Eliahu Bakshi Doron, si sono espressi in maniera molto più possibilista. Secondo lui in questo campo tutto quello che non è espressamente proibito dalla Bibbia deve considerarsi lecito.
Ma quali sono i pro e i contro identificati dalle autorità ebraiche?
Parlare degli aspetti inquietanti sollevati dal problema della clonazione è fin troppo facile. Basti pensare alla possibilità sinistra, che senz’altro sarebbe piaciuta a Hitler, di riprodurre a piacimento soldati obbedienti e pronti a tutto. Ma anche all’eventualità di dar vita ad esseri umani concepiti al solo fine del prelievo degli organi, in una sorta di agghiacciante usa e getta. Di mettere al mondo bambini senza genitori e senza amore. Per non parlare della possibilità di formare esseri intermedi, incroci fra uomini e bestie. Tutti noi abbiamo il dovere di interrogarci. Dove ci condurrà la capacità che si va sviluppando di far nascere uomini senza passare attraverso il processo della riproduzione? Fino a dove potremo arrivare?
Uno scenario da incubo che è stato evocato anche da molti altri leader religiosi. Ma allora perchè non lanciare l’anatema?
Non è così semplice. Lo stesso processo scientifico, infatti, per quello che se ne sa potrebbe essere estremamente utile per curare alcune malattie e sanare gravi disfunzioni. Mi riferisco in particolare alla lotta contro il morbo di parkinson, che comporta la necessità di produrre continuamente cellule nuove, alla possibilità di portare a termine trapianti molto difficili e a una soluzione praticabile per soddisfare le aspettative delle coppie sterili.
Eppure in questo suo atteggiamento possibilista la cultura ebraica tradizionale sembra riscoprire qualcosa di molto antico, un’idea che la accompagna dalle proprie origini.
È vero. Basterebbe ricordare come sono venuti al mondo Adamo ed Eva. Ma prendiamo un punto di riferimento fondamentale della letteratura cabalistica, il “Sefer Yezira”, il libro della creazione, che risale probabilmente all’ottavo secolo. Nel suo breve testo (solo 1600 parole) si spiega la relazione segreta fra le componenti del corpo umano, il tempo e le lettere dell’alfabeto ebraico. Si tratta in realtà di un manualetto utile a chi voglia creare nuovi esseri viventi. Lo stesso che usò il rabbino loew nel ghetto praghese del ‘500 per dare vita al mitico Golem.
Ma il Golem, oltre che il capostipite di tutti gli automi, è il prototipo di ogni sciagura che può essere determinata dalla clonazione. Un robot dalla forza straordinaria capace di combinare non pochi guai, che infine fu distrutto dal suo stesso creatore.
Certo. Infatti non rispondeva a quelle caratteristiche minime che l’ebraismo considera necessarie per poter attribuire a una creazione la dignità di persona.
E quali sarebbero?
Il Talmud e la letteratura rabbinica indicano tre punti di riferimento: essere nati da una donna, essere dotati della capacità di esprimere in una qualche forma la propria volontà e della capacità di mettersi in comunicazione con il mondo esterno.
Sono caratteristiche di cui gli esseri clonati potrebbero essere provvisti?
Per quanto se ne sa direi di sì. Chi nasce da una donna, anche senza l’intervento maschile, sia dotato di volontà e padroneggi un linguaggio deve essere rispettato.
Una creatura orfana di padre?
Non precisamente. I tribunali rabbinici stanno analizzando la complessa questione di chi sia effettivamente il padre dei bambini nati dall’inseminazione artificiale. La risposta più frequente è che il padre della madre diviene il padre giuridico. L’elemento paterno resta, anche nel processo di clonazione, il problema è che non sappiamo ancora esattamente dove si nasconda.
In che senso?
Le cellule utilizzate in questi esperimenti, per esempio, provengono spesso dalla zona dell’orecchio, che contiene le componenti maschili della generazione precedente. Tanto allarme, da parte di teologi di tutti i colori, le sembra allora ingiustificato?
Abbiamo la necessità di domandarci: siamo di fronte a un progresso per l’umanità o piuttosto siamo alla vigilia di un imbarbarimento?
Il problema è che in ebraico la parola ‘progresso’ (‘Kadima’) contiene in sè il concetto di ‘regresso’ (‘Kedem’). I nostri maestri hanno previsto che dopo il quinto millennio (ci troviamo ora nell’anno ebraico 5757) si apriranno le porte degli sviluppi scientifici. Questo comporterà l’esplosione di grandi potenzialità, ma non potrà automaticamente garantire una migliore tutela della nostra dignità umana.
La cultura ebraica non nega del resto la possibilità di perfezionare la creazione. Noi pratichiamo sui nostri figli la circoncisione, che costituisce il prototipo di un intervento correttivo sulla natura umana. Rispettare il mondo della natura non significa automaticamente desiderare che tutto resti immutato. Della natura, infatti, fa parte a pieno titolo anche lo stesso intelletto umano.
Si può allora permettere qualsiasi cosa?
Non esattamente. La Bibbia, per esempio, sconsiglia l’allevamento di muli (che nascono dall’unione fra un asino e una cavalla) ed esclude tutta una serie di unioni e di innesti. Dei limiti ci devono essere. Ma la regola non è tanto quella di scatenare una crociata contro la ricerca. Si tratta piuttosto di trovare una dimensione umanamente accettabile in tutti i sentieri che stiamo praticando. Naturale e ‘artificiale’ non costituiscono necessariamente due elementi in contrapposizione, ma piuttosto due livelli diversi di conoscenza.
Se il nostro grado di moralità è capace di crescere di pari passo con le nostre competenze scientifiche, allora potremo utilizzare in modo utile anche i risultati della ricerca.
Altrimenti?
Altrimenti non saranno gli anatemi dei rabbini, e nemmeno le prediche di altri leader spirituali, a salvarci dal baratro.