(Roberto Vivaldelli di Il Giornale) – Femminismo, minoranze etniche ed Lgbt, politicamente corretto: sono i nuovi mantra ideologici di una sinistra italiana che, a dirla tutta, non è mai stata troppo originale né creativa, e che prende come modello e ispirazione tutto ciò che fa la sinistra liberal Usa. Nello specifico, sta tentando di importare e replicare nel nostro Paese il modello identitario che sta polarizzando il dibattito politico americano: come lo definisce Mark Lilla, si tratta di un credo professato da un’élite urbana, isolata dal resto del Paese, la quale vede i problemi di ogni giorno attraverso la lente dell’identità. Lilla, nel suo saggio di qualche anno fa L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica (Marsilio) accusava il “panico morale su razza, genere, identità sessuale che ha distorto il messaggio del liberalismo e impedito che divenisse una forza unificante”. Anziché rafforzare il concetto di comunità, infatti, il progressismo identitario divide la società in tribù e minoranze in costante competizione fra loro, senza peraltro apportare alcun vantaggio specifico alle minoranze interessate da questo nuovo catechismo ideologico in salsa politically correct.

Il corso di femminismo di + Europa
È nell’ottica dell’identity politics, dunque, che va visto il corso di femminismo per i politici promosso da +Europa, il partito fondato da Emma Bonino. Seminari di economia o altri temi che potrebbero essere – davvero utili – per i nostri politici? No, +Europa pensa ad indottrinare i politici della sinistra italiana nel nome del femminismo chic. “Femministi! – si legge sul sito web del partito –nasce per colmare il divario di genere in politica. Cerchiamo uomini già impegnati in politica, per superare barriere e stereotipi spesso nascosti. Il laboratorio offrirà, grazie ad un programma innovativo, gli strumenti necessari per navigare attraverso l’arcipelago giuridico, organizzativo e semantico che ruota attorno alla parità di genere“. E ancora: “Perché ci focalizziamo proprio sui partiti politici? I partiti, infatti, sono unanimemente identificati dalla letteratura scientifica come i principali canali inibitori della carriera politica di donne, persone Lgbt e minoranze etniche“. Il progetto, prosegue la descrizione della scuola di formazione, è stato elaborato sulla base di esperienze dirette all’interno di partiti politici italiani ed europei e un focus group tra dirigenti ed elette di partito, un sondaggio su un campione di 1000 persone, e la conduzione di Prime Donne.

La sinistra italiana inciampa nell’Identity Politics
La prima giornata del seminario si è svolta ieri – 1° luglio – a Roma, mentre la seconda è in programma il 9 luglio, per un totale di cinque sessione tutte dedicate alla parità di genere. Come riporta La Repubblica, “alla fine dell’esperienza dello scorso anno ci siamo rese conto che non sono le donne ad avere bisogno di una formazione specifica per fare politica – dichiara Costanza Hermanin, fellow dell’Istituto universitario europeo e fondatrice della scuola -. Ci sono prassi escludenti e politiche pubbliche che rendono difficile il raggiungimento della parità, soprattutto in politica. Questi elementi devono essere portati all’attenzione degli uomini politici, perché ne prendano coscienza e affianchino le donne nella battaglia per la parità in politica, su cui l’Italia sconta un ‘gap’ più grande che in qualsiasi altro settore“. Hermanin, che è anche docente di politica e istituzioni europee al Collegio d’Europa di Bruges, ha collaborato anche con l’Open Society Foundations, la rete filantropica fondata da George Soros: questo tanto per far capire qual è l’humus culturale dietro questo tipo di iniziative.
L’obiettivo è sempre il medesimo: imporre un’egemonia culturale politicamente correttissima secondo la quale il nemico è la società patriarcale e il maschio bianco – ovviamente eterosessuale – è il diavolo in carne e ossa. Esattamente ciò che sta tentando di fare la sinistra Usa. E la “nostra” sinistra che fa? Copia. La nuova religione della sinistra liberal è, infatti, la politica dell’identità e queste forme di rivendicazioni identitarie che di certo non contribuiscono a risolvere i problemi reali e rimangono sul piano retorico.