(Andrea Muratore di Inside Over) – Offensiva respinta, per ora, ma la nuova crociata politicamente corretta di alcune frange della Chiesa cattolica tedesca segnala un’agitazione interna e una chiara problematica: la Conferenza Episcopale tedesca ha respinto una proposta ufficiale volta a analizzare il concetto stesso del Dio cristiano alla luce della questione di genere. Monsignor Johannes Wubbe, vescovo ausiliario della diocesi di Osnabruck, aveva dato sponda alla proposta di frange del movimento associazionista e giovanile per proporre un’idea che avrebbe del comico se non segnalasse una crisi valoriale profonda nel sistema cattolico tedesco: aggiungere l’asterisco finale alla parola Gott (“Dio” in tedesco”).

La svolta “rossa” della Chiesa tedesca
“Il dibattito teologico sulla questione non è rilevante al momento. Abbiamo problemi molto diversi da affrontare nella Chiesa in questo momento”, ha detto il portavoce della Conferenza episcopale, Matthias Kopp al telegiornale tedesco Sat.1. E ha aggiunto: “Dio è più del sole, della luna e delle stelle. Non possiamo afferrare Dio. Non possiamo descrivere Dio a parole”. La Chiesa tedesca, già attraversata da tendenze progressiste e “politicamente corrette”, ha toccato perà con questo dibattito il punto estremo di una campagna per la progressiva laicizzazione della vita ecclesiastica e l’abbraccio al mondo che ha portato ad accuse di “protestantizzazione” del mondo episcopale germanico e a far paventare voci di un nuovo, traumatico scisma in Europa.
I progressisti, guidati dal cardinale Reinhard Marx, stanno coscientemente reinterpretando alcune certezze, che sono contenute nel Catechismo della Chiesa. L’omosessualità, per esempio, è già stata equiparata dai vescovi tedeschi ad un comune orientamento sessuale, in diverse diocesi tedesche si parla di consentire ai non consacrati di poter far conferire i sacramenti ai non consacrati e di ordinazione femminile. Ma anche nel quadro di una Chiesa genericamente progressista ci sono punti estremi a cui buona parte dei vescovi non vuole giungere. Anche solo per ragioni di buon senso.
La campagna per l’ortografia di Dio nasce dalla constatazione che l’attuale idea di una divinità chiamata al maschile sarebbe viziata culturalmente. La Comunità Giovanile Cattolica (Kig) aveva discusso in ottobre se utilizzare l’ortografia “Dio*” in futuro come la Gioventù studentesca cattolica (Ksi). Il modo in cui Dio è chiamato influenza anche l’immagine dell’uomo, secondo i promotori di questa campagna.
La Kjg ha pubblicato una nota in cui sottolinea che “sempre più fedeli sono attualmente scoraggiati dall’immagine di un Dio maschio, patriarcale, bianco e lo stanno dicendo ad alta voce”, mentre il dibattito interno al mondo cattolico è stato salutato come sintomo una “salutare irritazione” dalla teologa evangelica Irene Diller. In un’intervista alla Radio della Cattedrale di Colonia (martedì) il capo dell’Unità Diversità e Genere nella Chiesa evangelica in Renania ha collegato l’adattamento del linguaggio e dell’appellativo di Dio all’epoca storica di riferimento come un richiamo all’essenza originaria dei testi biblici, in cui chiamare Dio era o vietato o soggetto all’utilizzo di perifrasi e appellativi ben precisi.

L’ideologia woke invade il cristianesimo
Ma in quest’ottica le frange giovanili del cattolicesimo tedesco non stanno facendo altro che farsi portavoce di un’ideologia woke applicata al cristianesimo, di una visione politicamente corretta che è altrettanto infantile e limitata di quella di chi idealizza il cristianesimo come un fattore identitario occidentalista, pretendendo che “maschio, bianco, eterosessuale” sia il canone chiave e irrinunciabile per definirsi cristiano. E va anche oltre una vecchia polemica che nel 2012 fu aperto dall’allora ministro della Famiglia Kristina Schroeder, esponente progressista della Cdu di Angela Merkel che rilasciò un’intervista al settimanale die Zeit in cui, oltre ad attaccare per il loro razzismo Pippi Calzelunghe e le favole dei fratelli Grimm, parlò della necessità di valutare l’opzione femminile per il nome di Dio.
La problematica in questo campo sta nella subordinazione al mondo, alla politica di questioni sociali di attinenza religiosa. Dio, nell’iconografia cristiana e nella mente di atei e credenti, è chiaramente associato a una precisa rappresentazione artistica che viene da opere come il Giudizio Universale di Michelangelo, ma per chi si professa credente trascende naturalmente questo mondo. Tanto che a parlare chiaramente e a depotenziare in partenza la carica contestataria basta guardare quanto ricordato dai Papi degli ultimi decenni, in cui piuttosto che sulla natura e il presunto sesso di Dio ci si concentrò sul fatto che nel messaggio cristiano il Signore racchiude al suo interno sia la visione paterna che quella materna.
Infatti nel suo breve pontificato del 1978 Giovanni Poalo I ricordò che a suo avviso “Dio ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre”. San Giovanni Paolo II fece eco al predecessore in un’udienza del 1999 sottolineando che “una paternità così divina e nello stesso tempo così “umana” nei modi con cui si esprime, riassume in sé anche le caratteristiche che solitamente si attribuiscono all’amore materno”, mentre due anni dopo fu Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, a inquadrare i termini della questione nel saggio Dio e il mondo, in cui scrisse: “Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui”, come del resto affermato dall’Articolo 239 del Catechismo cattolico.
Il mix ideologico tra scarso approfondimento culturale, ideologia woke e volontà progressiste a tutti i costi ha amplificato, dunque, la frattura interna al cattolicesimo tedesco ed europeo sulla scia di una battaglia totalmente marginale. Una questione di poco conto trasformata in battaglia identitaria, come se per un cattolico il giudizio di Dio fosse legato alla presenza o meno di un asterisco nel nome o di un suo inserimento nell’indistinta categoria dei genere non binario. Una manifestazione di debolezza di pensiero e di dominio delle battaglie pop sulla riflessione prospettica e approfondita che, dopo aver contagiato la politica europea, si sta pericolosamente insinuando anche nelle altre forme di aggregazione e identificazione sociale.