(Luca Marcolivo di La luce di Maria)
Un grande punto di equilibrio
La controversia sull’omotransfobia, intanto, continua a sollevare una domanda eterna: avendo vigente all’interno del suo ordinamento un Concordato, lo Stato italiano può dirsi veramente laico?
Una risposta a tale dilemma è stata fornita da un articolo pubblicato dal Centro Studi “Rosario Livatino”, a firma del professor Aldo Rocco Vitale, docente e ricercatore presso l’Università Tor Vergata di Roma e presso l’Ateneo Pontificio Recina Apostolorum.
Regge l’accusa di “ingerenze indebite”? In primo luogo, va ribadita una realtà troppo spesso dimenticata: “Il principio di laicità – scrive il professor Vitale – non comporta l’esclusione della religione o della Chiesa dalla vita pubblica, politica, giuridica, sociale, e non significa riduzione al silenzio nel campo etico e antropologico che precede le scelte politiche e legislative”. Pertanto, all’interno di un “sistema democratico”, nessuno, “neanche la Chiesa, può essere silenziata se articola la propria posizione”.
In quest’ottica, la laicità non sussiste in quanto principio di separazione assoluta tra la sfera politica e quella ecclesiale. Tanto più che la Corte Costituzionale, quando intervenne sul tema, con la sentenza n. 203 del 1989, “il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.
Lo spirito del Concordato, dunque, nasce proprio in armonia con tali principi. È proprio grazie ai Patti Lateranensi che l’Italia non è mai caduta in alcuna “commistione della sfera temporale e di quella spirituale, come è nel caso dell’Islam”, né nell’“esclusione di qualunque istanza spirituale tipica dei regimi totalitari novecenteschi di matrice socialista”.
Stabilità e libertà: ecco come il Concordato le garantisce
Nel suo articolo, Vitale menziona giuristi del calibro di Carlo Cardia o di Giuseppe Dalla Torre. Cardia sottolineava come il Concordato abbia conferito “stabilità al rapporto tra Stato e Chiesa, tra cattolicesimo e società civile, indirizzandolo su un cammino idoneo a seguire l’evoluzione dei tempo e dei costumi”.
Da parte sua, Dalla Torre evidenziava una potenzialità specifica del Concordato: quella di “realizzare un’esperienza più avanzata di democrazia, nella misura in cui esprime la partecipazione della società ecclesiastica alla formazione delle norme di cui essa sarà poi destinataria”.
È ancora Dalla Torre a individuare nel Concordato un mezzo per “garantire alla Chiesa, nell’ordinamento statale, un regime giuridico rispettoso della sua identità, senza cadere in ingiustificati privilegi e senza ledere il principio, fondamentale in una democrazia, di eguale libertà di tutte le confessioni religiose”.
Si può concludere, allora, prosegue l’articolo che il Concordato “non è violazione del principio di laicità, ma sua manifestazione più genuina, non è intromissione dello Stato nella Chiesa, né ingerenza della Chiesa nello Stato, bensì delimitazione delle sfere, delle competenze, dei ruoli, dei rapporti”.
Tuttora, osserva Vitale, il Concordato rimane “la soluzione giuridica più adeguata per far sì che Chiesa e Stato siano distinti senza opposizioni, delimitati senza conflitti, liberi senza oppressioni, autonomi senza autoreferenzialità”.