(da Itaca Notize) – Agata (nome di fantasia) è marocchina (nazionalità vera) di 41 anni che vive in Italia da oltre 15 anni, sposata e divorziata ha due figlie ormai grandi che vivono nella sua terra d’origine: “Ho raggiunto mio padre che lavorava in questa provincia dopo che mio marito mi ha lasciata sola con due bambine piccole ed è andato via. So che adesso vive in Germania, non si fa mai sentire dalle figlie”. Ha accettato di incontrarci per parlare della sua esperienza e della condizione delle donne di quella parte del mondo arabo rispettando una condizione: quella di non rivelare il suo lavoro a Marsala “Sarei troppo riconoscibile e io non voglio alcuna notorietà”.
Agata parliamo dei diritti delle donne arabe….
“Spesso quando accade un tristissimo fenomeno di cronaca che riguarda il mondo musulmano ed in particolare le donne, come la vicenda della scomparsa della giovane Saman, scattano tutta una serie di stereotipi all’interno dei quali io non mi riconosco. Le donne tunisine, per esempio, sono avanti, in termini di diritti, rispetto a quelle che vengono dal Bangladesh. Una situazione non è mai uguale all’altra”.
E tuttavia le donne in alcuni Paesi di religione islamica sono condannate a matrimoni combinati, uno di quelli da cui voleva sfuggire Saman.
“Io mi sono sposata giovanissima, magari non ho conosciuto il mio ex marito in discoteca o al bar, ma per strada. Ci siamo guardati per un certo periodo, lui mi piaceva e anche io evidentemente. Ci siamo capiti e lui ha parlato con mio padre e ci siamo sposati. Da noi funziona così. Ma ci siamo scelti senza alcuna imposizione”
Però dopo poco vi siete lasciati, magari un fidanzamento più lungo vi avrebbe aiutato a conoscervi e a decidere con più fondatezza.
“Può darsi. Anzi ne sono certa, però anche qui ci si sposa dopo anni di frequentazione e conoscenza e poi non ci si lascia lo stesso. C’è invece una cosa che mi colpisce ora che magari sono più avanti con gli anni. Ci sono realtà in cui la ragazze sono costrette a sposarsi in giovanissima età, quando è difficile dire no, quando non sai dire “non voglio”, o “non posso”. Quel “no” vuol dire che verrai esclusa e punita. E allora alla ragazza sembra di non avere scelta: ma non è un problema religioso, ma culturale. Ci sono donne che accettano perché è difficile rifiutare, ma anche altre che, decise, si oppongono. Le ragazze hanno paura di rimanere isolate dalla comunità e in primis, dalla famiglia. Anche una donna che io conosco ha sposato un cittadino marocchino in un matrimonio combinato. Poi lo ha lasciato ed è scappata in Italia. Quando l’ho conosciuta mi ha raccontato la sua storia. È stata costretta alle nozze con il primo marito dal padre e ha accettato per “sacrificio”, una parola nota alle musulmane, che spesso pagano scelte non compiute da loro. C’è l’imposizione da parte di un padre, di un fratello, a volte dalla famiglia, che dicono: “questo è il meglio per te”. Ma nessuno deve dire a una donna cosa “è meglio per lei”: lei sola lo sa”.
A seguito della vicenda relativa alla scomparsa della giovane pakistana è venuta fuori nel corso di un dibattito televisivo a cui hanno partecipato alcune donne musulmane, la differenza tra integrazione e l’inclusione. Lei si è fatta un’idea in tutti questi anni che vive in Italia?
“Magari non ho la cultura necessaria e non so se riesco a spiegarmi in termini esatti. Io credo che integrazione possa volere dire cambiare personalità per essere simile a un altro. L’inclusione nasce dalla nostra identità combinata con quella italiana. Noi vogliamo essere incluse, partecipare e dare il nostro contributo positivo alla società dove viviamo e dove abbiamo incontrato tanta gente che ci accoglie e alcune di noi anche rapporti affettivi. Conosco tante che si sono tolte il velo per scelta non certamente perchè lo ha detto loro il marito italiano. Altre invece che hanno continuato a portarlo. Lo ripeto le donne cattoliche, quelle di religione araba, tutte debbono scegliere da sole. Nessuna imposizione. E’ quello che dico alle mie figlie quelle poche volte che ci vediamo o quando le sento per telefono”.