Alessandria (Valentina Frezzato di La Stampa) – Vittorio Sgarbi è in libreria con “Ecce Caravaggio”, pubblicato da La nave di Teseo: un’occasione per valutare dopo 70 anni lo stato dell’opera di questo artista dopo la grande mostra e gli studi di Roberto Longhi. Ma domani sera (martedì 13) alle 21 sarà ad Alessandria, nel cortile del Conservatorio con una serata, “San Francesco nell’arte”, dedicata interamente a questo Santo nell’ambito della “Milanesiana”, ideata e diretta dalla sorella Elisabetta.

Sgarbi, dopo tanti spettacoli e letture dedicati agli artisti – Caravaggio, Michelangelo, Raffaello, Leonardo, gli ultimi che ha trattato – ora una lectio su un santo. Come ci si prepara a trattare un argomento così?
“Un tempo gli storici dell’arte avevano attenzione anche ai temi dell’iconografia sacra: San Rocco, la Maddalena, San Francesco, Sant’Agata, generalmente in occasione di centenari o anniversari. Per cui non direi che la cosa ha un particolare significato rispetto alla storia dell’arte, emerge piuttosto la fortuna religiosa, sociologica, agiografica che nel nostro tempo si è concentrata in maniera quasi esclusiva su Padre Pio. La sua immagine è quella della iconografia di confidenza in una religione miracolosa che oggi non c’è più ed è forse l’immagine più vista del Novecento dopo quella di Mussolini, anche lì con funzione taumaturgico-miracolosa anche se in senso politico. E quindi san Francesco è la visione alta della tradizione iconografica, da Giotto in avanti, che vede in lui il santo della modernità in virtù del pauperismo, come lo illustra Giotto; una rappresentazione che va contro il declino della sensibilità del gusto dovuta alla forza taumaturgica che ha assunto nel secolo passato la figura di Padre Pio”.

Ma come mai la figura di San Francesco è così importante nel panorama artistico italiano?
“Le ragioni per scrivere libri sui santi sono agiografiche e legate in genere a un luogo dove vi è un culto, ad esempio di Sant’Agata a Catania, Santa Rosalia a Palermo, Santa Caterina a Siena e intorno a questo culto, che ha risvolti sociologici, gli studiosi fanno ricerca diastorica e diacronica. Partirò da Cimabue e Giotto fino al nostro tempo, agli anni finali dell’800 con Don Bosco e poi Padre Pio. L’escursione dei santi di riferimento e di grande popolarità finisce con loro. San Francesco ha avuto una grande resistenza dal medioevo ai primi del 900, poi c’è paradosso di D’Annunzio, con quella dimensione da eremita che lui ha definito francescana”.

La sua sarà una lectio illustrata. A cosa dovremmo stare più attenti? Quali artisti verranno coinvolti nel ragionamento?
“Una lectio illustrata su un grande santo mostra come questa immagine sia rimasta pervasiva o sia mutata nel corso dei secoli. Faremo discorsi non relativi a uno specifico luogo, ma in tutti i luoghi dove è celebrato il patrono d’Italia. Caravaggio, ad esempio, ha realizzato una versione molto bella che si trova a Palazzo Berberini ma ce ne sono altre sei o sette che aspirano a essere considerate sue. Non c’è molto da inventare su Francesco per la verità, perché san Francesco ha un’iconografia piuttosto rigida”.

Francesco è il Santo più citato, oso dire il più amato è riconosciuto. Cosa ci dirà che non sappiamo?
“Mostrerò immagini poco viste e conosciute anche se non è cosa facile e attingerò al mio archivio. San Francesco è il santo più amato e rassicurante, per questo la sua iconografia è molto ripetitiva: stimmate, saio, estasi, ma ci sono risultati pregevoli. Il Patrono d’Italia ha scelto la povertà e ha interpretato le richieste evangeliche in modo fedele, affermandosi come un esempio di virtù cristiana. Quaranta artisti da Cimabue a Giotto, da Van Eyck a Bartolomeo della Gatta, da Beato Angelico a Caravaggio, da Gentileschi fino a Giovan Battista Piazzetta non c’è pittore che entro i primi dell’800 non l’abbia ritratto”.

Lei è stato ad Alessandria, la conosce bene. Conosce bene anche la chiesa di San Francesco di cui celebriamo una sorta di rinascita. Quanto è importante questo monumento?
“Il complesso di San Francesco è certamente uno dei più importanti monumenti alessandrini, con una storia secolare, realizzato poco dopo la canonizzazione di San Francesco; è uno dei luoghi dove si esercita maggiormente la sua influenza e dove l’insegnamento francescano ha preso una consistenza storica. Un complesso di pellegrinaggio dei francescani. Una ragione di orgoglio per la città e un santuario degno di questa presenza. Nessun Santo è più noto, secondo solo a Gesù”.

Ha cambiato idea sul ponte di Richard Meier?
“Il mio giudizio sul ponte di Meier è assolutamente negativo, il vecchio ponte si poteva sistemare con un intervento di ingegneria per consentire il flusso dell’acqua”.

Ma Morgan non potrebbe essere un buon assessore alla Cultura anche per Alessandria?
“Il mio progetto è candidare Morgan come sindaco in una delle città in cui non abbiamo ancora chiuso individuando un candidato. È ovvio che deve appassionarsi a un luogo, avere l’opportunità di conoscerlo e viverci. Sicuramente Morgan può essere chiamato da un’amministrazione di centro-destra per il suo estro, la sua fantasia, l’intelligenza e per la sua scrittura, che sono una garanzia. Un buon assessore deve essere non solo un capace amministratore, ma deve avere anche delle idee, chiedere, inventare, proporre. E tra le persone che conosco che stanno nell’area del Movimento Rinascimento che ho fondato, Morgan è un pezzo molto originale e pregevole”.

Cosa può fare la politica per l’arte, nel concreto?
“Molte cose fa la politica da sempre. Si aprono musei, si promuovono restauri e si deve evitare che proliferino orrori edilizi. È proprio il compito che ho spesso svolto nelle Soprintendenze. Soprattutto riguardo a quella parte che era stata meno violata rispetto alle speculazioni dell’era industriale, con capannoni, grattacieli e costruzione legate alle attività produttive più spregiudicate. Adesso la minaccia è al paesaggio aggredito da una mafia sostanziale che si è già espressa soprattutto nel meridione, in Sicilia e in Puglia in particolare, e che rischia di risalire l’Italia con il fotovoltaico e l’eolico, che sono delle vere e proprie violenze alla dimensione anche spirituale del paesaggio, che va accarezzato non stuprato”.