(da Sport Mediaset) – In quel memorabile libro che è Introduzione al cristianesimo (1968), Joseph Ratzinger scrive che «il senso, che uno si costruisce da sé, in ultima analisi non è nemmeno un senso. Il senso, ossia il terreno su cui la nostra esistenza nella sua interezza può stare salda e vivere, non può essere fatto, ma solo ricevuto»1. Dietro alle fragilità delle due atlete olimpiche più attese, Naomi Osaka e Simone Biles, eroine inter-nazionali, si nasconde un problema culturale che questa società non è ancora in grado di affrontare: la tecnica e il dominio incontrastato dell’immagine, questione capitale che si collega all’assolutizzazione dell’io. La tecnica, che nasce come prodotto dell’uomo, ha oggi trasformato l’uomo in un prodotto della tecnica. Le immagini che postiamo con tanta ingenuità e leggerezza sui social non sono semplici “contenuti”, innocui prolungamenti dell’ego. Sono il nostro stesso ego. Voi direte: quello visibile. Certamente, a patto che il nostro tempo riesca ancora a pensare l’io nella sfera dell’invisibile.